Tre anni dopo, nel 2013, inizia così un altro processo, questa volta a carico di Ali Ahnmed detto “Jelle”. Costui era stato un altro accusatore di Hassan e adesso deve rispondere di calunnia al fine di sviare le indagini. Hassan e la mamma di Ilaria Alpi si costituiscono parte civile. Secondo certi documenti mostrati a “Chi l’ha visto?” Jelle sarebbe stato alloggiato e spesato con ogni cura mentre era in Italia. Il programma si scaglia anche contro gli encomi e i premi attribuiti al personale di Polizia che se n’è occupato. E’ evidente la lapidazione ideologica: i poliziotti avranno agito su disposizioni.
Nel 2015 Jelle afferma: “Hassan è innocente, io neanche c’ero. Mi hanno chiesto di indicare un uomo”. A suo dire, la richiesta sarebbe arrivata dal rappresentante della Farnesina. Jelle, dopo aver verbalizzato a suo tempo l’accusa, si era reso irreperibile e non era stato presente in aula. Verrà ritrovato da una troupe di “Chi l’ha visto?” nel Regno Unito. Il 18 gennaio 2013 il tribunale di Roma assolve Gelle. Per i giudici, della seconda sezione penale, il teste chiave non ha mentito.
Il 16 dicembre 2013 la presidenza della Camera avvia la desecretazione degli atti delle Commissioni d’inchiesta sui rifiuti e sul caso Alpi. Il 14 gennaio 2014 gli avvocati di Hassan ottengono, dalla Corte d’Appello di Perugia, la riapertura del caso. La Rai e la signora Alpi si erano costituite parti civili. Il processo si conclude nel 2016, esattamente il 19 ottobre, quando la Corte d’Appello di Perugia assolve il somalo, che nel frattempo aveva scontato diciassette dei ventisei anni inflitti.
La madre della giornalista annuncerà l’anno dopo di voler rinunciare alla ricerca della verità perché “ho dovuto assistere alla prova di incapacità data, senza vergogna, per ben 23 anni, dalla Giustizia italiana e dai suoi responsabili”. Nel luglio del 2017 la Procura della Repubblica di Roma inoltra una richiesta di archiviazione. In verità a noi profani risulta incerta la posizione degli Alpi: costituiti parte civile nel processo contro Hassan, sconfessarono la sua condanna.
Il 17 aprile 2018, durante l’udienza fissata per discutere la richiesta di archiviazione, il pm Maria Rosaria Guglielmi deposita alcune intercettazioni risalenti al 2012, ma trasmesse solo successivamente dalla Procura di Firenze ( ci si chiede il perché siano arrivate da Firenze a Roma dopo cinque mesi e la colpa verrà attribuita a un’impiegata). Si tratta di conversazioni fra persone di origini somale residenti in Italia che, parlando del caso Alpi, affermano: “L’hanno uccisa gli italiani”. L’8 giugno 2018, il pm chiede l’archiviazione delle nuove intercettazioni ritenute sostanzialmente irrilevanti e inutili all’avvio di nuovi accertamenti. Pochi giorni dopo scompare Luciana Alpi.
Il 6 febbraio 2019 la procura di Roma chiede per la seconda volta al gip di archiviare l’inchiesta sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: i nuovi elementi vagliati, è la motivazione, si sono “rivelati privi di consistenza”.
Il 13 marzo 2019 la Federazione nazionale della stampa, l’Ordine dei giornalisti e Usigrai depositano l’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione firmata dalla procura di Roma. La famiglia della giornalista avrebbe chiesto di approfondire nuovi spunti investigativi, ma non sappiamo esattamente quali familiari lo avrebbero fatto.
Il 4 ottobre 2019 il gip Andrea Fanelli rigetta per la seconda volta la richiesta di archiviazione avanzata dal pm Elisabetta Ceniccola. Viene disposta, tra l’altro, l’acquisizione di atti relativi alle indagini sulla morte del giornalista Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia nel 1988.
Il 5 marzo 2022 Hashi Omar Hassan muore per l’esplosione di una bomba piazzata sotto il sedile dell’auto. Lo riferisce Garowe Online, testata giornalistica somala. “Sono stati i terroristi islamici, nessun dubbio. Lo hanno ammazzato a scopo di estorsione. Sono persone in cerca di soldi e se non sei d’accordo con loro ti uccidono“. Lo afferma l’avvocato Antonio Moriconi, difensore per 20 anni insieme con il collega Douglas Duale, di Hashi Omar Hassan…” Rainews.it – 5 marzo 2022 – Era stato risarcito dallo stato italiano con tre milioni di euro.
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Da dove Ilaria avrebbe tratto le informazioni di cui disponeva?
“…lo sceneggiatore, il quale per sottolinearla ha anche introdotto una figura ‘quasi’ di fantasia, dice: un ‘fidanzato’ di Ilaria, collocato nelle alte sfere, che le avrebbe passato le notizie più scottanti. E’ una nota che un pentito avrebbe raccontato a Romanelli procuratore di Milano, per averla sentita dire, così è scritto nel libro sul caso pubblicato nel 2002… (Barbara Carazzolo, Alberto Chiara, Luciano Scalettari, Ilaria Alpi. Un omicidio al crocevia dei traffici, Postfazione di Luciana e Giorgio Alpi, Baldini & Castaldi, Milano, 2002), riportato dal sito “Donne e conoscenza storica”, citando il film” Ilaria Alpi – il più crudele dei giorni” del 2003.
Un ex sedicente Gladio, intervistato da Report, sosteneva che l’informatore della Alpi fosse invece il maresciallo del SISMI Vincenzo Li Causi, morto nel 1993 durante un assalto di miliziani somali, alla vigilia di un interrogatorio in Italia.
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Che il globo sia attraversato da traffici e macchinazioni è noto dalla notte dei tempi e certamente Ilaria lo sapeva. In Italia il soffio di Mani Pulite, oggi molto ridimensionato nella sua ispirazione, aveva scatenato gli istinti populisti e le frustrazioni che il demagogo trasforma in voti. Così è che facilmente si grida alla corruzione, al malaffare, a intrighi e malversazioni. Ma la nostra società marcia sul consumo e l’energia, e nessuno vuole pagarne il prezzo.
Nonostante voci e inchieste, non si capisce mai fino in fondo dove vadano a finire i rifiuti, siano essi “normali” o tossici, dove per tossici si intende un po’ di tutto, da quelli ospedalieri alle scorie nucleari (ricordiamo che l’Italia aveva bocciato l energia nucleare già dal 1987).
La cooperazione internazionale iniziava allora a essere oggetto di sospetti. Si tratta di un enorme business, che oggi viaggia a gonfie vele, come si nota dalle pubblicità alle ONLUS, in cui la Somalia è spesso protagonista. Nel 2022, dopo anni di governi compositi e predominio alternato di fazioni, è stato rieletto presidente Hassan Sheikh Mohamud, già in carica nel quinquennio 2012/2017.
Nell’affaire fu coinvolta anche la comunità Saman, un cui collaboratore sarebbe stato agente infiltrato in Somalia col nome di Jupiter, richiamato in patria appena prima del duplice omicidio dei due giornalisti, ma la Saman si chiama fuori.
Un’inchiesta in questo senso sarebbe stata opportuna, poiché il mondo del volontariato agisce da anni nell’opacità garantita dal fine dell’aiuto umanitario, che da anni dovrebbe essere stato sostituito da strutture in grado di garantire ai paesi africani autonomia e dignità: col risultato che l’unica soluzione è lo sbarco perenne di immigrati (veri o presunti) in Europa, e segnatamente in Italia.
Ma che ne dice la famiglia di Miran Hrovatin?
«A volte ne parlano come se non avesse un nome, e mi dispiace. Forse è inevitabile, data la scarsa esposizione mediatica che mia madre e io abbiamo scelto di avere, mentre i genitori di Ilaria Alpi sono stati più attivi. Trieste è una città piccola, ogni volta che mi presentavo mi chiedevano se fossi il figlio del “cineoperatore ucciso in Somalia”. Mia madre non voleva che crescessi come “l’orfano di Miran Hrovatin”. Mi ha protetto, ed è stata la scelta giusta. Ho avuto una vita serena».
Ha seguito la vicenda giudiziaria?
«È un tema che per lungo tempo non ho voluto affrontare. O forse ho solo accettato la versione ufficiale perché era più digeribile. Crescendo, mi sono accorto che lasciava ombre. Ci sono tante storie che si intrecciano, in Somalia. Capri espiatori. E fa paura pensare che forse ci sono forze occulte, che operano dove non dovrebbero».
Sapere finalmente la verità sarebbe una consolazione?
«Onestamente, non tanto. Sarebbe un esercizio democratico per il nostro Paese, ma non è mai stato il nostro scopo. Mia madre ha fatto della memoria di mio padre le fondamenta del resto della nostra vita, separandola dalla vicenda giudiziaria. Non ce ne siamo disinteressati, è chiaro, ma non abbiamo nemmeno vissuto solo per quello. Siamo già stati vittime, quel giorno».
C’è chi ha dipinto suo padre come uno sprovveduto.
«Era un professionista, aveva lavorato a lungo nei Balcani. Credo non fosse del tutto cosciente degli scenari che si stavano sviluppando in Somalia. Forse lì la situazione era più complessa di quanto si potesse immaginare da lontano. La sua idea era di andare a filmare le truppe Onu che si ritiravano. Poi, lui e Ilaria si sono trovati in mezzo a cose più grandi di loro».
Intervista a Ian Hrovatin, figlio di Miran – Vanity Fair 13 marzo 2014
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I Hrovatin dunque non hanno preso posizione.
Ed è vero che al tempo gli aiuti che arrivavano si infrangevano contro la mancanza di infrastrutture e reti. I silos si squagliavano al sole, sorgevano ospedali che non funzionavano per mancanza di elettricità e acqua corrente: e risulta sia accaduto anche in seguito un po’ ovunque, nel continente.
Va riconosciuta a Ilaria la tenacia che, unita all’ardore giovanile, le avrebbe potuto far dimenticare la prudenza, ma ci tocca ribadire che il coraggio è una cosa, la temerarietà un’altra. Come non vogliamo oggi i sacrifici umani di chi vorrebbe portare la liberazione dove nessuno lo ha chiesto, così pensavamo allora.
Fiumi di denaro per i molteplici processi, uniti al megarisarcimento ad Hassan per i suoi anni di ingiusta detenzione, non solo non hanno dato pace ai familiari, né fatto giustizia, ma forse non sono serviti a scoperchiare nemmeno lontanamente le ragioni di una destabilizzazione perpetua in certi territori: traffico di droga? Di armi? Di organi? E l’Italia, privata della sua ex colonia in nome di indipendenza e libertà, non se l’è forse ripresa con manovre sotterranee da parte di ragnatele politiche ed economiche che agiscono sotterraneamente?
Il giornalismo d’inchiesta è una grande risorsa, ma non vogliamo martiri.
Carmen Gueye