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Severus Piton, l’identità di un personaggio non è un’opinione

Va bene essere inclusivi. Anzi, è giusto e doveroso. Ma quando l’inclusività diventa riscrittura forzata dell’identità di un personaggio, si oltrepassa una soglia pericolosa. È questo il caso della recente decisione di HBO di affidare il ruolo di Severus Piton a Paapa Essiedu, attore britannico di origini ghanesi, nella nuova serie tratta dai romanzi di J.K. Rowling.

Severus Piton non è un personaggio qualsiasi. È una delle figure più complesse, ambigue e dolorosamente umane dell’intera saga di Harry Potter. Portarlo sullo schermo richiede delicatezza, comprensione profonda e — soprattutto — coerenza con l’immaginario che i libri hanno fissato nella mente di milioni di lettori. Non si tratta di un dettaglio secondario: è una questione di identità narrativa.

Nella saga cinematografica, Piton ha avuto il volto e la voce indimenticabili di Alan Rickman. La sua interpretazione ha fissato un archetipo. Ma al di là del Rickman-attore, nei romanzi Piton è descritto con tratti ben precisi — fisici, caratteriali, sociali. Alterarli radicalmente in nome di una lettura contemporanea del concetto di inclusione significa riscrivere la simbologia di molte scene.

Un caso su tutti: il rapporto tra Piton e James Potter, padre di Harry. Nei libri, James — ragazzo popolare, sicuro di sé, bianco — bullizza Severus, un coetaneo solitario, fragile, altrettanto bianco. Il punto è proprio questo: il bullismo non ha motivazioni razziali, ma sociali, comportamentali. È uno scontro interno al mondo magico, tra ribellione e conformismo, tra dolore e privilegio.

Cambiare l’etnia di Piton, lasciando inalterata quella di James, introduce una nuova e pesante chiave di lettura, mai presente nei romanzi: quella del razzismo. E con essa si rischia di svuotare il valore originale del racconto. Il dolore di Piton non è quello di chi subisce per il colore della pelle, ma di chi viene emarginato per la sua differenza, per la sua fragilità, per la sua oscurità.

Paradossalmente, questa scelta rischia anche di mettere in difficoltà lo stesso attore. Invece di essere valorizzato per la sua bravura, potrebbe diventare il bersaglio di critiche non per le sue capacità, ma per ciò che rappresenta: il simbolo di un adattamento che sacrifica la fedeltà narrativa sull’altare del politicamente corretto.

Inclusione non significa annullare le identità pregresse, ma crearne di nuove. Piton ha già una sua identità. E non si cambia impunemente, perché ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo di quel personaggio nasce da un preciso vissuto, da una costruzione coerente. Disfarla per renderla più conforme a una visione attuale è un errore — artistico, prima ancora che culturale.

M.S.