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IL CONTROVERSO DESTINO DI JULIAN ASSANGE

<Se volete la verità, dovrete cercarvela da soli.> E’ solo una delle tante frasi celebri che ritraggono la figura enigmatica e misteriosa di Julian Assange: giornalista, programmatore e attivista australiano, noto principalmente per aver fondato il tanto discusso quanto celebre sito WikiLeaks, del quale è tuttora caporedattore.

Pur non avendo mai frequentato la scuola, già all’età di sedici anni, è in grado di programmare un Commodore 64. Dedito fin da bambino allo studio dell’informazione e del suo propagarsi fra le persone attraverso i sempre più emergenti mezzi di comunicazione, comincia, grazie all’avvento della rete globalizzata, a sperimentarne in senso pratico le sue teorie. Diviene infatti, membro di un gruppo di hacker noto come “International Subversive”, con lo pseudonimo di “mendax”, esperienza che gli costerà ben ventiquattro capi di accusa per reati inerenti alla pirateria informatica.

Anarchico e sovversivo, si è sempre definito libertario, dedito al progresso di un’informazione trasparente e alla portata di tutti. Persegue il suo obiettivo di ricerca di verità, fino a quando nel 2007, fonda WikiLeaks, (dall’inglese “fuga di notizie”), un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro, che riceve in modo anonimo, documenti coperti da segreto di Stato, rendendoli pubblici pur garantendo l’anonimato delle proprie fonti.

Quella di WikiLeaks è una storia a doppio livello. Da una parte è un racconto dell’era digitale, la nascita di un sito (e di una tecnologia dietro di esso) che ha cambiato il concetto di segretezza, consentendo la più grande fuga di notizie nella storia dell’informazione; dall’altra è uno dei molti esempi delle nuove forme di attivismo, cioè di come la tecnologia e la comunicazione digitale stiano cambiando la maniera in cui gli individui agiscono e si muovono per protestare attivamente contro le istituzioni.

Al pari di uomini del calibro di Steve Jobs, Mark Zuckerberg, Jack Dorsey (quest’ultimo fondatore di Twitter), quello di Julian Assange è un destino che, inconsapevolmente parlando, l’ha reso, assieme a pochi altri in questo XXI secolo, un uomo in grado di cambiare il mondo.

Assange, infatti, nel corso di tre anni porterà la piattaforma per la divulgazione di documenti riservati alla notorietà mondiale attraverso la pubblicazione di oltre 251.000 documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali etichettati come “confidenziali” o “segreti” , culminati con i resoconti riguardanti la guerra in Afghanistan del governo americano nel 2010, evento talmente clamoroso da distruggere la stessa organizzazione interna del sito e renderlo il nemico dei principali governi del pianeta.

Diviso tra l’ammirazione per le conquiste di WikiLeaks e la condanna dei rischi che ha corso, Julian Assange, ha voluto mostrare la maniera in cui le nuove tecnologie stiano lasciando emergere nuovi protagonisti, nuovi contrasti e nuovi problemi ai vertici socio-economici della società, in quella sua impresa che ha suscitato nell’opinione pubblica una divisione netta nei suoi confronti.

Da una parte reputato un eroe per la sua attività di informazione e trasparenza, acclamato e proposto per il premio Nobel per la pace, dall’altra un traditore e un terrorista, per le conseguenze che le divulgazioni delle notizie hanno causato.

Viene arrestato in Inghilterra con l’accusa di molestie sessuali su due ragazze svedesi e poi rilasciato su cauzione, mentre la Svezia ottiene un sì alla richiesta di estradizione. Temendo di essere rispedito negli Stati Uniti (dove un processo per spionaggio gli costerebbe l’ergastolo o la vita ) nel 2012 si presenta ai cancelli dell’ambasciata dell’Ecuador richiedendo asilo politico come perseguitato, status riconosciutogli circa un mese dopo. Quello che in molti si chiedono è che ne sarà di lui. Da due anni, ostaggio della diplomazia, Assange continua a perseguire la libertà d’informazione, criticando spesso i media e i professionisti del settore, troppo spesso, non in grado di condurre un lavoro efficace e trasparente, affermando:

“Esiste una necessità pratica di mantenere il segreto in determinate circostanze, per particolari organi o istituzioni. Esiste una lunga storia sulla questione, il vostro dottore ha necessità di proteggere la riservatezza dei vostri dati medici, in quasi tutte le circostanze. Ma questo non significa che tutti gli altri debbano obbedire al medesimo obbligo. I media hanno il diritto-dovere di pubblicare per informare la collettività.”

Julian Assange, ha certamente contribuito –in un periodo in cui l’informazione è alla portata di tutti, ma allo stesso tempo (quella vera), in mano a pochi- a portare l’era mediatica a un rinnovamento globale, di notizie e mezzi di comunicazione sempre più trasparenti e alla portata di tutti. Notizie sconvolgenti, in grado di far cadere forse il più ostile dei regimi, perché quando l’informazione viene a galla, c’è la speranza di poter fare qualcosa di buono.

Giuseppe Papalia 

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.

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