L’immagine idillica che ha accompagnato tanti di noi per lunghi tratti della nostra vita è stata quella di un camino, di due soffici poltrone di velluto verde, dell’oscurità lambita da un fuoco irregolare, di una tazza di cioccolata calda in mano, di un nonno o una nonna intenti o a sferruzzare o fumare una pipa, di noi bimbi accoccolati per captare tutto il calore possibile e, infine, di una storia e di un ricordo che ci vengono raccontati.
“Ai miei tempi si stava meglio, la mia gioventù era più semplice della vostra, tutte queste diavolerie vi stanno rovinando: il mondo va alla rovescia!”. Chi di noi non ha mai sentito, declinata nelle innumerevoli inflessioni dialettali, tale assioma? Assioma che è quasi una filosofia di vita, irrinunciabile per una parte di generazione che vede i suoi cardini scardinati da tanti eventi avvenuti dalla sua nascita a oggi.
Certo, gli anziani sembrano le persone ideali per quella frase, giacché a volte, e colpevolmente, li si associa a una visione della vita vetusta e troppo “lenta” per noi, oggi che ci muoviamo e operiamo simultaneamente e velocemente, con le nostre azioni che hanno perso la loro durata intrinseca, hanno perso la memoria di ciò che è avvenuto prima.
Questo scenario, però, è parzialmente smentito quando, nei salotti casalinghi come quelli televisivi, la frase è ripetuta da persone che non sono anziane, hanno ancora tanta strada da percorrere, e con quella sicurezza che deriva dall’attaccamento alle solide e sicure tradizioni apprese da bambini, si lanciano in astruse catilinarie contro la degenerazione dei tempi moderni e la malattia dei figli moderni.
Ciò accade perché, secondo uno studio della City University di Londra, non sono necessariamente gli eventi contingenti a farci immaginare un futuro a tinte tetre: è, piuttosto, una condizione umana, una malattia della psiche comune a più individui. Viene definito “declinismo”: è il pessimistico principio che il mondo e i suoi abitatori siano indirizzati a una fatale decadenza, la sensazione che l’avvenire sia sempre peggiore del presente e del passato.
I fatti contingenti incidono molto sul declinismo: molti, vuoi per conoscenze personali, vuoi per altri motivi, non hanno coscienza dei progressi che magari proprio ora si stanno concependo e applicando per migliorare la qualità della vita di ognuno di noi. I fatti eclatanti che ci hanno sconvolto in questi giorni già hanno, per molti, le sembianze di una condanna certa per questo 2015, come se fossero le prime vangate di terra su una tomba appena chiusa.
Sembra paradossale, ma oggi viviamo in un’era dove la violenza è meno generalizzata, forse più endemica che altro, ma è molto minore, ad esempio, rispetto all’età moderna, dove il sangue non suscitava notizia e si poteva morire per una banale rissa all’osteria o scalciati da qualche cavallo. Per altri, siamo più sani e intelligenti di prima: e comunque si vogliano analizzare i dati contrari nell’uno e nell’altro senso (il becero populismo e qualunquismo sui mass-media o la maggior incidenza di malattie come la depressione), si deve considerare che oggi abbiamo gli strumenti più adatti per capire e risolvere questi problemi.
Le cause del declinismo, per gli studiosi, sono molteplici: la prima è l’inclinazione mentale ad abbellire la gioventù, per cui i tempi andati ci sembrano più felici di oggi. La seconda è che quando si domanda a qualcuno di rammentare gli eventi della propria vita, molti ricordano meglio fatti che si collegano a quando erano nel fiore degli anni.
Un terzo fattore è che, invecchiando, si è inclini a ricordare più le esperienze positive delle negative. Il quarto fattore è la difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti tecnologici: la realtà sempre più caotica e vorticosa delle moderne metropoli fa sì che la lentezza dei secoli precedenti venga spazzata via dai ritmi vertiginosi del nuovo mito della velocità.
In fondo, siamo un po’ dei creduloni morbosamente attaccati al più nero pessimismo, alla più bella dietrologia che sembra dischiuderci le tenebre di questo oscuro mondo. Ecco perché hanno successo quegli scrittori che decantano, declamano e definiscono a lettere di fuoco il nostro declino e la fine dei tempi.
Pasquale Narciso