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Editoriali

L’Italia, il nucleare e la mancanza di un piano energetico nazionale

C’è un campo in cui anche l’attuale governo sconta una palese arretratezza, in linea con tutti i governi degli ultimi decenni. Il campo è quello delle politiche energetiche, grande nodo cruciale non solo per quanto riguarda il sostentamento pratico dello Stato, ma anche per quel che riguarda le relazioni diplomatiche e politiche con i Paesi esteri. Certo, il governo Renzi con lo Sblocca Italia ha sostanzialmente dato il via libera alle trivellazioni (sia su terra che in mare) alla ricerca di idrocarburi e ai rigassificatori, ma questa scelta non rappresenta che un dettaglio di quello che dovrebbe essere un vero piano energetico nazionale che abbia uno sguardo lungo sul futuro, utile a dare una certa stabilità al Paese.

Che serva studiarne e adottarne al più presto uno lo suggerisce implicitamente anche la COP21, la Conferenza sul clima svoltasi a Parigi il mese scorso. Occorrono piani integrati di sviluppo, collaborazioni sempre più ampio fra i vari Paesi per far sì che la produzione di energia cessi di essere un problema, soprattutto ambientale e politico, e diventi una risorsa sostenibile a disposizione di tutti. Proprio per questo l’Europa ha preparato un testo per L’Unione dell’Energia, dove si richiedono maggiori sforzi finanziari per incrementare gli investimenti, anche nel nucleare, un argomento che meriterebbe d’essere affrontato nel quadro di un dibattito laico e non influenzato dall’emotività. Anche se alla presentazione del documento sull’Unione dell’Energia il gruppo italiano del Partito Socialista aveva annunciato che la parte in favore del nucleare non l’avrebbero votata.

Per capire meglio, quanto pesa l’energia nucleare in Europa? Nel 2014 è stata quella che ha fornito il 27% del mix energetico per la produzione di energia elettrica nella UE, anche se ben 130 centrali delle 132 oggi esistenti andranno smantellate entro il 2050 per limiti di servizio. Ecco da cosa parte la richiesta di ingenti investimenti per sopperire con nuove centrali di ultima generazione. Ma va anche ricordato come già lo scorso 8 dicembre 2013 Bruxelles aveva bocciato l’inclusione del nucleare nelle linee guida sugli aiuti di Stato all’energia e all’ambiente. Ci ritroviamo con un comparto energetico che diverrà obsoleto fra qualche decennio, con un dibattito sul tema sostanzialmente bloccato e con l’indeterminatezza di non sapere come eventualmente sopperire per intero a questa fetta di produzione energetica.

 
Il 2016 si presenta quindi come l’anno buono per affrontare, in modo costruttivo, un dibattito sull’energia che contempli anche un’analisi sull’opzione nucleare. Opzione che è in calo a livello mondiale, come ci ricorda questo articolo de Linkiesta, dati che la percentuale mondiale di produzione di energia dal nucleare è passato dal 17,6% del 1996 all’11% del 2014. Un’opzione, tra l’altro, sempre meno sostenibile dai singoli Stati, come dimostra la recente bancarotta di Areva in Francia, salvata poi da EDF. Areva, società pubblica fra le più grandi nella costruzione dei reattori, si è ritrovata con un passivo di diversi miliardi, salvata dal colosso dell’energia EDF, un’altra azienda pubblica. Da contraltare fa la Cina, che ha in programma di costruire 24 nuovi reattori per produrre energia e abbattere l’inquinamento ambientale.

Sullo sfondo resta comunque l’avanzata di quelle che vengono ancora chiamate energie alternative (ormai non più alternative ma effettive a tutti gli effetti), solare ed eolico in testa. Sempre restando alla Cina, sappiamo che nel 2014 hanno investito 9 miliardi nell’energia nucleare e ben 83 miliardi a eolico e solare, un terzo degli investimenti mondiali nelle energie rinnovabili. L’unico problema di queste fonti energetiche è la forte sproporzione delle quantità prodotte per singolo impianto: per equivalere la potenza di un singolo impianto nucleare da 1.600 MW servirebbero impianti solari o eolici estremamente vasti. Su questo sarà importante la ricerca scientifica che già sta puntando ad aumentare sia l’efficienza dei pannelli solari che quella dei rotori della singola pala eolica.

Per l’Italia infine, il dibattito energetico riguarderà anche un altro importante aspetto: quello del sito unico di stoccaggio delle scorie nucleari. Una ricerca che già in passato generò molti scontri fra governo ed enti locali e che oggi rappresenta ancora un campo minato difficile da attraversare. Essendo però stati fra i primi ad avviarci sulla strada del decommissioning delle centrali nucleari, potremmo sfruttare la situazione per sviluppare conoscenze e soluzioni tecniche per lo smantellamento delle centrali, visto che nel prossimo futuro ne dovranno essere chiuse tante. Un altro aspetto collegato dibattito energetico che è da considerare, quello del mercato del lavoro che si potrebbe creare, anche solo considerando il decommissioning. Sempre a patto di non farsi influenzare dall’emotività.

Roberto Galante

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