“Dopo essere sceso dal podio del vincitore, passai davanti alla tribuna d’onore per rientrare negli spogliatoi. Hitler mi fissò, si alzò e mi salutò agitando la mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Penso che giornalisti e scrittori mostrarono cattivo gusto inventando poi un’ostilità che non ci fu affatto”.
Con queste parole si espresse, nella sua autobiografia, “The Jesse Owens Story“, il campione afroamericano Jesse Owens. Quest’ultimo, com’è noto ai più, fu il primo atleta nero a vincere le Olimpiadi, compiendo l’impresa di vincere quattro ori nell’atletica leggera nei giochi estivi che si tennero nel 1936 a Berlino, nella Germania hitleriana.
Secondo quando riportato dai media stranieri, infatti, Hitler, indispettito dalla vittoria dell’americano, si rifiutò di porgere la mano in segno di rispetto e riconoscimento al campione. Una vera e propria leggenda metropolitana mai del tutto confermata e smentita dall’atleta stesso, supportato anche dall’amico italiano Arturo Maffei, presente nel momento dei fatti, che raccontò come Hitler fu invece il primo a salutare il campione afroamericano, così come riportò successivamente anche un giornalista de l’Occidentale:
“Hitler, arrivato davanti a Owens lo salutò per primo, alzando il braccio destro nel saluto nazista. Owens non poteva certo rispondere con il braccio teso e perciò allungò la mano verso Hitler. Costui, vedendo che Owens gli allungava la mano, abbassò il braccio teso e allungò a sua volta la sua mano verso quella dell’atleta, per stringergliela. Ma proprio in quell’attimo Owens, forse ricordandosi di essere un militare, portò la mano destra alla fronte salutando Hitler con il classico saluto militare mentre il dittatore tedesco rimase per un attimo con la mano tesa.”
Quel che lasciò veramente perplessi, al rientro del team americano in patria, fu piuttosto il rifiuto da parte del Presidente americano Roosvelt di incontrare il campione afroamericano per paura di ritorsioni e reazioni interne da parte degli Stati del Sud. In un’America ancora profondamente retrograda e dominata dalla discriminazione razziale nei confronti dei neri, (così come gran parte degli storici e giornalisti del tempo non scrissero, foraggiando piuttosto uno stereotipo ben diverso) Owens si ritrovò snobbato alla sua stessa cerimonia, costretto ad entrare dalla porta di servizio poiché nero. E di certo gli americani, così come le stesse istituzioni, non fecero nulla per mostrarsi più tolleranti e riconoscenti nei confronti di Owens, tanto che lo stesso campione affermò: “Hitler non mi snobbò affatto, fu piuttosto Franklin Delano Roosevelt che evitò di incontrami. Il presidente non mi inviò nemmeno un telegramma”.
Giuseppe Papalia