È uscito nelle sale cinematografiche italiane, il 2 febbraio 2017, il nuovo capolavoro di Mel Gibson “La battaglia di Hacksaw Ridge”. Candidato a sei premi Oscar e tre Golden Globe, il film racconta la storia di Desmond Doss (interpretato da Andrew Garfield). Primo obiettore di coscienza per essersi opposto all’uso di una qualunque arma, è riuscito a salvare ben 75 dei suoi commilitoni nella battaglia di Okinawa, combattuta dall’esercito americano contro i giapponesi. Spinto da un sentimento di patriottismo a seguito dell’attacco a Pearl Habor e sentitosi in dovere di partecipare a fianco degli altri giovani arruolati, decise di prendervi parte come medico, accompagnato da una piccola Bibbia tascabile, dall’amore di Dorothy nel cuore e dal sostegno del rapporto (complicato ma profondo) con il padre.
Dopo un primo tempo abbastanza stereotipato, ecco che la sceneggiatura della seconda nottata di conflitto colpisce profondamente lo spettatore, facendogli scaturire paura, preoccupazione, sostegno verso il protagonista e la sua missione. Un’impresa degna di un eroe con la E maiuscola, senza i super poteri ma con una grande Fede, tanto che il vero Desmond Doss attribuì tutto il merito a Dio. Etichettato inizialmente come vigliacco si è dimostrato coraggioso e altruista e, ripetendo quella frase che assomiglia tanto a una supplica “Aiutami a trovarne ancora uno”, è riuscito a trovare la forza per compiere un miracolo.
Particolare riguardo anche per quei pochi fotogrammi che compongono la scena in cui Doss, armato di garza e morfina, aiuta un soldato nemico. Per circa un minuto non traspaiono più le differenze, amplificate dal conflitto tra USA e Giappone, ma l’evidenza lampante che di fronte alla morte siamo tutti uguali e che nemmeno la guerra giustifica il libero arbitrio dell’uomo sul destino di un’altra vita.
Ed ecco che nel finale si concretizzano le domande latenti già dalla prima mezz’ora di visione. Il soldato che parte per la guerra con il presupposto di non toccare armi e di salvare vite è un controsenso che porta a chiedersi “Andare in guerra senza armi, non per uccidere ma per soccorrere i feriti è davvero possibile?” È una questione delicata e sicuramente non merita una risposta banale, ma da questo war movie emerge che è l’uomo a scegliere chi essere e in che modo comportarsi, come, cosa e se combattere. Si veda, ad esempio, da un lato come cambia l’atteggiamento dei commilitoni e del sergente verso il protagonista con l’evolversi degli eventi e dall’altro la descrizione minimalista e approssimata dei militanti nipponici, macchine a cui non importa di morire.
Arricchito dal pathos e dalla potenza dei suoni e delle immagini, questo film è un urlo di pace che, benché riferito specificamente alla Seconda Guerra Mondiale, riecheggia fino a oggi. La medaglia all’onore ricevuta dal soldato Doss è un simbolo del riscatto del valore della vita umana, dell’importanza di credere fermamente in qualcosa e della necessità di non arrendersi mai.
Ingrid Salvadori
[Photo credit: facebook.com]