“La nebbia agli irti colli/piovigginando sale,/e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar;”
Chi, almeno una volta nella vita, non ha sentito questi piacevoli versi? E chi, leggendoli, non pensa al tempo passato cercando di ricordare chi li ha scritti? L’oggi, 16 febbraio, di centodieci anni fa moriva il “vate ufficiale” della nazione, uno dei poeti più amati da studenti e insegnanti, Giosuè Carducci.
Nato nel 1835 a Valdicastello (Lucca) fu poeta e critico letterario. Passò buona parte della sua vita in Toscana, luogo a cui rimase molto legato, tanto da rendere la Maremma uno dei temi fondamentali della sua produzione poetica. Dopo avere trascorso una giovinezza filorepubblicana ed essere stato sospeso per le sue idee politiche dal lavoro di professore presso l’università di Bologna, abbracciò pian piano gli ideali monarchici e assunse la consapevolezza che i Savoia avrebbero potuto garantire l’Unità italiana. Da qui ne conseguirono il ruolo di poeta ufficiale della nazione e quello di senatore del Regno (1890). Nel 1906 vinse il primo premio nobel italiano per la letteratura e un anno dopo morì a Bologna.
Mentre il resto d’Europa era immerso nel suo periodo romantico, nel Regno gli intellettuali erano schierati su due fronti opposti: chi abbracciava la nuova corrente e chi invece si ostinava a portare avanti la tradizione classicista. In prima linea per rinnovare ma mantenere il passato c’era proprio Carducci, il quale voleva rendere il realismo della società contemporanea con uno stile armonioso e chiaro. Inoltre, accompagnava questa sua lotta contro il Romanticismo, la condanna all’Italia di fine ‘800 priva, a sua detta, di ideali, immeritevole della grandezza del suo passato e degli eroi che avevano combattuto per la grandiosità della loro Patria.
Evidentemente i critici possono commentare che Carducci non riuscì ad adattarsi all’evoluzione che ha caratterizzato il periodo storico in cui ha vissuto, ma il suo attaccamento al passato e alla volontà di perpetuare nelle sue opere il valore della cultura italiana è uno dei punti forti che lo rende immortale. Nei momenti di crisi, come in quello in cui ci troviamo adesso, dove la fiducia nelle istituzioni e l’amore per il Bel Paese stanno per essere sopraffatti dagli innumerevoli problemi del Nuovo Millennio, le idee del poeta toscano tornano a essere attuali e motivanti verso chi pensa che non ci sia più nulla da salvare. Il ruolo specifico che egli attribuisce alla poesia è quello di celebrare ciò che c’è di bello e buono dal punto di vista estetico e morale tramandandone la memoria ai posteri.
Sua è la celebra frase “L’arte e la letteratura sono l’emanazione morale della civiltà, la spirituale irradiazione dei popoli.” , scritta in “Bozzetti crtici e discorsi letterali” proprio in riferimento al fatto che una nazione si basa sulla sua cultura e sulla sua storia per svilupparsi e ricordare sempre i passi che l’hanno resa ciò che è. Ecco che oltre a una produzione poetica di inestimabile valore, il “vate” lascia in eredità l’onere e l’onore di non dimenticare e di essere sempre orgogliosi del proprio passato.
Ingrid Salvadori
[Photo credit: cultura.biografieonline.it]