Dopo gli ultimi accadimenti di questi giorni, che hanno visto protagonisti sullo scacchiere internazionale delle strategie geopolitiche, l’Occidente – Stati Uniti in particolare – e la Russia di Putin, stretta alleata di Assad in Siria, il clima che si respira è di tensione e apprensione: se non è da Guerra Fredda, poco ci manca.
Già, perché si da sempre più voce, nel dibattito pubblico di queste ore, al ritorno di un bipolarismo URSS- NATO tale da dipingerne uno spettro, in un quadro crescente di tensioni geopolitiche, sempre più presenti e che deve farci riflettere. I continui rimbecchi tra i due Paesi, seguiti dai recenti moniti di armamento da parte del presidente americano Trump, pone l’attenzione sulle reciproche prospettive di dispiegamento messe in atto nei vari territori dell’intera Europa.
Ad oggi, un confronto tra forze militari in campo sarebbe disastroso: sulla base dell’analisi di alcuni dati, estrapolati da uno studio condotto in merito, il National Interest ha concluso che “se dovesse accadere il conflitto tra la Russia e la NATO sarà caotico, violento e terribile”.
La rivista bimestrale statunitense The National Interest infatti, già nel gennaio di quest’anno, aveva pubblicato, avvalendosi del Center for Strategic and International Studies di Washington DC, una mappa interattiva degli armamenti terrestri, contraerei e navali delle due forze. Una mappa che raffigura precise aree circoscritte, ognuna delle quali indica il raggio d’azione entro la quale sono posizionate tutte le differenti armi sia in Europa che sul territorio della Federazione Russa.
Tale studio metterebbe in risalto considerevoli investimenti, da parte russa, sulle capacità di difesa e di posizionamento dei propri mezzi (identificati attraverso la sigla A2AD), tali da massimizzare il loro effetto strategico e contribuire a negare l’accesso alle forze dell’avversario ostacolandone la libertà di manovra. Le forze A2AD includono tipicamente le difese aree, le forze marittimi e anti-missilistiche (a breve o medio raggio). Implementazioni che, ad oggi, si estendono a nord fino all’Artico e a sud fino alla Siria, con particolari concentrazioni a Kaliningrad ed intorno alla Crimea.
Una vera e propria “macchina di sovrapposizione e sistemi A2/AD ridondanti” come riporta lo studio e che, in caso di crisi, complicherebbero non di poco le capacità della NATO di accedere alle aree chiave come i Paesi Baltici o la Polonia: debolezze importanti, che potrebbero rendere i giochi facili alla Russia qualora dovesse verificarsi una situazione di conflitto armato.
E a confermarlo c’è anche l’editorialista del Forbes Loren Thompson, convinto che tra la Russia e la Nato, sia la Russia ad avere una serie di vantaggi tali da garantirne un ipotetico successo in caso di guerra. Già perché, sempre secondo l’esperto, “la Nato ha trascurato la preparazione a respingere le minacce di armamenti ad alta tecnologia”. Sempre secondo l’esperto “Quindici anni di guerra contro i combattenti in Asia centrale hanno reso l’esercito ben attrezzato per combattere guerriglieri come i terroristi del Daesh (ISIS), ma molto meno preparato ad affrontare un nemico dotato di carri armati, artiglieria ed aerei d’attacco”, aveva scritto Thompson in un suo articolo sulla rivista americana.
E proprio concentrandosi sul dispiegamento di forze terrestri e armi, l’editorialista aveva concluso affermando che le armi russe stessero diventando sempre più potenti, “dal momento che i militari russi stanno diventando sempre più professionali, la Russia ha introdotto diverse armi convenzionali avanzate, mentre gli USA e i suoi alleati investono poco nelle nuove tecnologie”, sottolineando inoltre che “Il supporto aereo della Nato non possa essere efficace perché la Russia ha un grande potenziale nella difesa aerea”.
Ed effettivamente, analizzando gli ultimi dati reperibili, risalenti al 2014, nonostante la Nato disponga di 3,3 milioni di truppe Nato, contro le sole 770 mila della Russia, quest’ultima sembrerebbe essere tecnologicamente più avanzata: 2.400 tank (600 T-90), 2.800 blindati, 20 sistemi di lancio Iskander SS-26 (Missili a corto raggio), 2.800 caccia, 2.800 bombardieri, 44 sottomarini nucleari, 6 incrociatori lanciamissili, 1 portaerei Ammiraglio Kuznetsov, per una spesa militare complessivo attorno ai 78 miliardi di dollari. Un paradosso, se si pensa che quella della NATO sia 10 volte tanto, per un valore totale di 870 miliardi di dollari. Eppure per Thompson il confronto sarebbe spaventoso e metterebbe in campo una mole di dispiegamenti tali da far impallidire chiunque al solo pensiero, senza dimenticare il posizionamento geografico. Un concetto strategico fondamentale che attualmente vedrebbe, sempre secondo l’editorialista del Forbes, in vantaggio la Russia: “storicamente abituata a combattere a terra e dato il massiccio dispiegamento delle forze armate nella parte occidentale del Paese, Mosca può concentrare rapidamente i suoi militari”.
Insomma, una dottrina di ipotetica guerra sovietica, in tale inquadramento, porterebbe ad una situazione militare estremamente complicata e dai risvolti più che mai imprevedibili. Ma d’altronde in una situazione di crisi, condizionata dai tragici avvenimenti in Siria – alla quale la Russia è alleata – era più che mai essenziale, agli occhi del mondo occidentale, che la comunità internazionale (supportata ipocritamente da chi fino ad ora ha condannato crimini di guerra, ma poi ha fornito armi di sott’occhio a ribelli antigovernativi siriani e pro-Isis) desse un segnale di “leadership” forte nei confronti di chi, proprio come Assad, poteva comodamente essere imputato come criminale e dittatore (seppur democraticamente eletto).
Come se per forza si dovesse trovare un nemico comune su cui scaricare le responsabilità di un sistema politico occidentale ed europeo, in continuità con l’amministrazione Obama, fallimentare e per nulla risolutivo (magari proprio a pochi giorni dai negoziati di pace riguardanti la Siria a Bruxelles). Ignorando però che i veri nemici potrebbero essere altri. E che pertanto sarebbe ora di smetterla di giocare a “cane e gatto” quando, sullo scenario internazionale, il vero problema potrebbe essere rappresentato dall’emergente e instabile Corea del Nord.
Giuseppe Papalia