E’ giusto definire Trump “il presidente americano più razzista di sempre”? Nelle ultime ore, in seguito ai fatti di Charlottesville, le accuse di razzismo nei confronti del presidente statunitense si sono intensificate. I democratici e gli esponenti di sinistra hanno condannato il modo in cui Trump ha reagito alle manifestazioni dei suprematisti dello scorso sabato, puntando cioè il dito sia contro le fazioni di estrema destra che di estrema sinistra e senza una condanna esplicita nei confronti dei suprematisti bianchi.
Quando si parla di razzismo si pensa subito alla destra, ma pochi sono a conoscenza delle commistioni tra sinistra americana e razzismo. Basti pensare alla figura del democratico Woodrow Wilson, 28° presidente degli Stati Uniti tra il 1913 e il 1921. Wilson ebbe molti meriti, tra cui l’abolizione del lavoro minorile, il passaggio di leggi anti-trust e la creazione di una giornata lavorativa di 8 ore per i lavoratori ferroviari, ma il suo razzismo era evidente. Padre dell’Europa moderna, Wilson aveva basato la sua politica estera sull’eguaglianza delle nazioni, sull’autogoverno dei popoli, sulla libertà dei mari e su una riduzione generalizzata degli armamenti. Ciò che risulta paradossale è come un presidente statunitense abbia influito tanto sulle sorti di un altro continente, predicando al tempo stesso l’autodeterminazione dei popoli. Nei fatti le sue politiche hanno in parte causato il dissolvimento dell’impero austroungarico, la Seconda Guerra Mondiale e le Guerre balcaniche degli anni ’90.
Già nel 1902, eletto presidente dell’Università di Princeton, l’autore dei famosi quattordici punti adottò politiche per impedire agli studenti neri di frequentare il college. Da presidente americano, fu il primo ad introdurre la segregazione razziale nel governo federale, considerandola “non un’umiliazione, ma un beneficio“. Durante la sua presidenza, si è assistito alla progressiva ri-segregazione delle strutture, con una rigida suddivisione per i servizi igienici e per le caffetterie, addirittura con la creazione di barriere tra lavoratori bianchi e neri. A molti impiegati afro-americani fu impedito di ricoprire posizioni di alto livello, che invece svolgevano durante le amministrazioni repubblicane.
A suo tempo, il democratico Wilson si fece portavoce di due politiche apparentemente contrastanti: se da un lato predicava l’autodeterminazione dei popoli, dall’altro lato promuoveva interventi volti a diffondere la democrazia e difendere i diritti umani, secondo una politica idealista che contemporaneamente sognava la fine del colonialismo e incideva sulle sorti delle nazioni europee.
Fanno discutere anche le considerazioni di Wilson nei confronti del Ku Klux Klan, definito “un vero impero destinato a proteggere il paese del Sud”, in cui un governo di neri avrebbe significato l’affermarsi di una razza ignorante e inferiore. La “grande bugia” che il partito democratico porta avanti in America è che i conservatori, primo tra tutti Trump, sono fascisti e nazisti, tanto da paragonare l’attuale presidente a ciò che fu Hitler quando divenne cancelliere.
In un’illuminante opera, Dinesh D’Souza sostiene che la sinistra democratica ha un’ideologia virtualmente identica al fascismo e ha mutuato tattiche di intimidazione e terrore politico dal nazismo. Oggi, dunque, il Partito Democratico appare come uno “spaventoso simulacro del Partito Nazista” per il suo essere contro la libertà di parola, contro il capitalismo, contro la libertà religiosa e a favore della violenza.
Forse Trump non è il presidente americano più razzista di sempre; forse, circa un secolo fa, Wilson e i democratici hanno saputo fare meglio.
di Antonella Gioia