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Cultura

100 anni fa la vittoriosa offensiva del Piave

Tra il 15 ed il 24 giugno 1918 avvenne quella che D’Annunzio poi battezzò la Battaglia del Solstizio. L’Austria-Ungheria aveva scarse risorse alimentari e la popolazione era alla fame, lo Stato Maggiore austroungarico guidato da Arthur Arz von Straussenburg, doveva necessariamente chiudere i conti con l’Italia sfondando la linea del Piave per dilagare poi nella Pianura Padana, ma l’eroismo e la caparbietà della difese italiane ne impedirono la riuscita ponendo, anzi, le basi per la  successiva contro offensiva passata alla storia come Battaglia di Vittorio Veneto, nella quale i nostri avi provenienti da diverse parti d’Italia, ma riuniti sotto la stessa bandiera ricacciarono l’invasore al di la delle Alpi. 
Il piano austroungarico prevedeva un attacco a tenaglia attuato dalla 10° e 11° Armata del Feldmaresciallo Conrad (Operazione Radetzky) aventi come obiettivo lo sfondamento delle linee poste sull’Altopiano di Asiago per puntare poi su Vicenza, l’altro braccio della tenaglia era, invece, costituito dalla 5° e 6° Armata del Feldmaresciallo Boroević (Operazione Albrecht) con il compito di varcare il Piave nella Marca trevigiana per chiudere la tenaglia nel padovano. I dissidi tra i due comandanti ed una tattica incerta, ma soprattutto la rinascita della forza morale e fisica del Regio Esercito risollevatosi dalla sconfitta di Caporetto grazie all’impegno del Capo di Stato Maggiore Generale Armando Diaz coadiuvato dal suo sotto-capo di Stato Maggiore Generale Pietro Badoglio. Nella Battaglia venne fatto largo uso degli Arditi, i quali armati di pugnali e granate attraversarono il fiume a nuoto il Fiume occupando le trincee avversarie, svolgendo un ruolo non indifferente nella ritirata austriaca. Sull’Altopiano, invece, i nostri utilizzarono la tattica della “contropreparazione anticipata” bombardando per 5 ore ininterrotte le postazioni nemiche al punto che ai primi italici contrattacchi gli uomini di Carlo I d’Asburgo abbandonarono le armi e fuggirono al punto che vennero fermati solamente dai gendarmi nella città di Villach. Nel corso degli scontri il giorno 19 giugno, nei cieli di Nervesa della Battaglia cadde l’asso degli assi della aviazione italiana, il Maggiore Francesco Baracca. 
La resa dei conti finale iniziò il 24 ottobre 1918 il Generale Diaz, sotto pressioni da parte del Comandante Supremo Alleato Generale Foch e del Primo Ministro Orlando, doveva agire. Il piano prevedeva l’attraversamento del Piave tra il Montello e le Grave di Papadopoli per puntare poi su Vittorio Veneto, tenendo conto che il nemico, per quanto indebolito, continuava a difendersi vigorosamente. Nonostante le difficoltà iniziali, le truppe italiane riuscirono a varcare il Piave e a manovrare per tagliare la ritirata nemica, alle ore 15:00 le unità della “Firenze” entrarono a Vittorio Veneto accolti da una folla in festa, il 3 Novembre vennero raggiunte Trento da parte della I Armata e Trieste grazie allo sbarco della brigata Arezzo e dei Bersaglieri al molo San Carlo. Alle ore 15:00 del 4 Novembre l’Armistizio di Villa Giusti entrò definitivamente in vigore, la guerra era finita, l’Italia aveva definitivamente sconfitto l’eterno rivale delle guerre risorgimentali. 
Dal Bollettino della Vittoria: “l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 Maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta.
La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso Ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuna divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatre divisioni austroungariche, è finita”.
Fu una guerra difficile che provoco frustrazioni e tumulti negli anni successivi, ma permise di creare gli italiani, i quali anche se ancora profondamente diversi tra loro e che facevano fatica a comprendersi per via dei numerosi dialetti, combatterono tutti sotto il tricolore, simbolo di una Patria nata appena cinquant’anni prima che doveva portare a termine il suo processo di unificazione.
Stefano Peverati