Si è concluso l’iter giudiziario che ha colpito Parma e Chievo, indagate dalla procura per due motivi completamente differenti: gli emiliani avrebbero combinato, tramite il loro attaccante Calaiò, la partita di campionato Spezia-Parma; i veronesi invece, insieme al Cesena, avrebbero commesso delle plusvalenze fittizie, messe a bilancio per consentire l’iscrizione al campionato.
Nella giornata di ieri, la FIGC ha diffuso un comunicato ufficiale nel quale ha dichiarato: “Il Tribunale Federale Nazionale, presieduto dall’avvocato Mario Antonio Scino, ha comminato al Parma una penalizzazione di 5 punti da scontare nella stagione 2018/19 e una squalifica di 2 anni, più un’ammenda di 20mila euro, al calciatore Emanuele Calaiò, in relazione al deferimento della Procura federale per la vicenda dei messaggi sospetti precedenti la gara Spezia-Parma“.
Oggi invece è arrivata la sentenza per il Chievo, per il quale è intervenuta l’improcedibilità a causa di un vizio di forma nella fase istruttoria del processo, oltre a numerosi errori nei documenti dell’accusa, contestati da economisti abbastanza rinomati. Condannato invece il Cesena a scontare 15 punti di penalizzazione nel prossimo campionato: i romagnoli avevano infatti patteggiato la pena dato l’intervenuto fallimento societario.
A distanza di anni, vengono evocati vecchi fantasmi che sembrano non sparire mai e quando vengono dimenticati, loro compaiono: 12 anni fa venivano condannate diverse squadre di serie A per illeciti sportivi nel più grande scandalo sportivo del nostro paese, ovvero Calciopoli.
Oggi sembra di essere ritornati in quegli anni, con un Parma che ha rischiato la penalizzazione di 2 punti sulla stagione scorsa, che avrebbe comportato la sua retrocessione in serie B e, in automatico, la promozione del Palermo. Questo era quello che l’accusa del procuratore Giuseppe Pecoraro aveva chiesto una settimana fa, ma tutto è cambiato nella giornata di ieri, con la conferma della promozione in serie A della squadra emiliana.
Ecco quindi che i fantasmi ritornano. La punizione non si può definire esemplare, anzi può essere visto più come un buffetto e meno come uno schiaffo al Parma da parte di una giustizia sportiva che avrebbe dovuto applicare il pugno di ferro. Inoltre, la squalifica di due anni nei confronti di Emanuele Calaiò crea un po’ di confusione, perché conferma che la Procura ha basato il processo sui messaggi che si sono scambiati Calaiò e Del Col – ex compagni di squadra nello Spezia – ma squalificando l’attaccante del Parma crea confusione, perché punisce, giustamente, il calciatore ma non la squadra emiliana, che giova della promozione uscendo dal processo quasi indenne. Per l’ennesima volta la giustizia sportiva inciampa e non fa una bella figura, rendendo involontariamente più forti i furbi.
Inoltre, non si capisce né la richiesta della Procura né l’entità della sentenza. I due punti chiesti dalla procura avrebbero comportato sì la perdita della Serie A, ma avrebbe trascinato i crociati in zona play-off. Un ripescaggio del Palermo avrebbe dunque comportato dunque un sostanziale squilibrio nella sentenza, eccessivamente favorevole ai siciliani.
Appurata la – parziale – condanna, non si capisce allora cosa sia realmente successo: qualora la partita fosse stata combinata, infatti, Calaiò e la società sarebbero dovute essere punite col massimo della richiesta. La parziale condanna, paradossalmente, scagiona sia il giocatore che la società, ma non rende comunque giustizia: qualora non ci siano prove del reato di combine, non ha senso squalificare un giocatore né penalizzare una società.
Ancor più paradossale il caso Chievo: una società tenuta in ostaggio da settimane, costretta a convocare economisti, avvocati, professori di economia di prestigiose università, per ottenere né una condanna né un’assoluzione: una semplice improcedibilità, una soluzione salomonica che però svilisce la figura del procuratore, fermato da un vizio di forma.
Ci si pone allora una domanda: in Italia non funziona il calcio o la giustizia sportiva? Sicuramente questo sport è ancora malato, andando a infettare elementi che riguardano fattori economici, amministrativi e prettamente sportivi, ma la giustizia fa fatica a tenere il passo e lo dimostra una cosa: 11 giorni fa Cristiano Ronaldo raggiungeva Torino, abbracciando non solo i colori bianconeri della Juve ma anche l’idea che l’immagine del calcio italiano possa riacquistare valore quasi come quella di un tempo; 6 giorni dopo, il Bari falliva, disintegrato a lungo andare da problemi finanziari e presidenti insolventi.
L’immagine di CR7 è talmente potente da far ben sperare sul valore del calcio italiano, ma la mancata sicurezza della giustizia sportiva non fa sperare bene sul futuro del calcio italiano, perché così facendo torneranno sempre quei fantasmi che ci faranno sempre voltare indietro invece che guardare in avanti.