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Attualità Cultura Un bergamasco in Rendena

L’atavica, stupida supponenza del censore

Dirò di censura, perché, proprio in questi giorni, Facebook ha censurato un articolo del direttore de “Il Caffè”, perché conteneva un’immagine di Hitler. Era un articolo, ovviamente, in cui il Nazionalsocialismo veniva additato al pubblico ludibrio e non certo glorificato, ma questo all’algoritmo che sovrintende alle censure del social non poteva interessare, essendo egli un algoritmo e non un essere pensante.

Dunque, partendo da questa formidabile manifestazione di stupidità censoria, vorrei dire due cosette sulla censura più in generale e su come la censura sia tornata a essere parte integrante della nostra vita.

La censura dipende, come facilmente immaginerete, da una peculiare visione del cosmo: da una Weltanschauung, come si diceva una volta. Chi censura parte dal presupposto che il popolo sia fondamentalmente cretino o, se preferite, infantile, tanto da dover essere protetto da ciò che potrebbe danneggiarlo. Questo perché, se una persona è padrona di sé, capace di giudicare, di intendere e di volere, non si lascerà influenzare da una foto, da un film o da un quadro: guarderà, rifletterà, giudicherà e agirà di conseguenza.

Se, viceversa, siamo al cospetto di un incapace, di un idiota o, semplicemente, di un bambino, sarà necessario che un’autorità superiore e paterna (o, meglio, paternalistica) stabilisca a monte ciò che è bene e ciò che è male sottoporre all’attenzione del tutelato. Ecco, la censura, a un dipresso, è come un genitore che filtri preventivamente gli stimoli diretti al proprio pargolo.

Non molto tempo fa, gli stessi che, oggi, invocano la censura per settori sempre più vasti del pensiero umano, scendevano nelle piazze gridando: vietato vietare! Gli anni Settanta sono stati una formidabile piattaforma libertaria: allora, sembrava che nulla potesse essere, non si dice censurato, ma anche solo, criticato dai benpensanti. Perciò, nell’arte, nel cinema, nel giornalismo, qualunque arbitrio e qualunque eccesso passavano per provocazione, per avanguardia: erano à la page, insomma.

Poi, i tempi sono cambiati: i giovanotti con la chitarra e lo spinello sono diventati austeri dirigenti politici, impettiti mezzibusti televisivi, rigidi magistrati. E, ovviamente, hanno cambiato registro. Le truppe d’assalto conquistano l’avamposto, ma, poi, per difenderlo, arrivano i genieri che costruiscono i bunker in cemento e acciaio. Perciò, da una cultura iperlibertaria, si è tornati alla vecchia idea, mai del tutto abbandonata, del popolo bue: della folla che va protetta da se stessa. E alla censura, appunto. Che è manifestazione, contemporaneamente, di debolezza, di paura e di stupidità.

Perché aver paura che una foto di Hitler, in un articolo chiaramente antinazista, possa invogliare qualcuno a mettersi a sterminare gli Ebrei è, francamente, un’idiozia: mentre pensare che ci siano persone pronte a convertirsi al nazismo per una foto del genere è, francamente, offensivo nei confronti dell’umanità.

E solo chi percepisca la propria posizione come debolissima può pensare di difenderla con la censura.

Quanto alla stupidità, beh, quella non muore mai.

I problemi vengono quando governa…

Marco Cimmino