C’è una sola squadra italiana che ha vinto la Coppa Davis. È “La squadra”, quella composta da Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Corrado Barazzutti, che nel 1976 a Santiago del Cile conquistarono per la prima e unica volta la principale competizione a squadre del tennis. Una storia recentemente raccontata da Sandro Veronesi in una docuserie e ripercorsa stasera all’Auditorium Santa Chiara.
Era un autunno caldo, l’Italia lacerata era attraversata da tensioni sociali e il paese sudamericano viveva la repressione del regime di Pinochet. Si pensò quasi di non partire. Il viaggio alla fine si fece, e una volta ritornati a Roma dovettero uscire da una porta secondaria per paura delle contestazioni. Lo scrittore racconta quegli anni. “In cinque anni – ha detto Veronesi – giocarono quattro finali, tutte fuori casa. La prima fu vinta, le altre tre no. Sono stati grandi giocatori e assieme hanno formato una squadra straordinaria. Quello che hanno fatto loro, in Italia, non lo ha più fatto nessuno, ma quella storia non fu celebrata a dovere. Il senso del mio documentario è stato quello di rendere il giusto onore a questi ragazzi.
Bertolucci all’epoca si trovava già a Buenos Aires, ma le notizie che arrivavano dall’Italia non erano buone. Alla fine, qualche giorno prima, la politica diede l’assenso per la partenza. “La tensione era salita parecchio – ricorda Barazzutti – ricevevo minacce di morte, non andavamo più in giro, avevamo paura”.
Il clima sul palco è però scherzoso e il pubblico in sala si diverte. Panatta è un fiume in piena, i fidi compagni non sono da meno. La scaletta dei giornalisti Riccardo Crivelli e Barbara Fantoni ormai è carta straccia. Vengono svelati i retroscena del documentario. “Siamo stati una squadra vera – afferma Panatta – tra noi c’era grande rivalità quando ci incrociavamo in campo, ma assieme eravamo molto uniti”.
“Giocare con Adriano è come quando sei con la moglie – sorride Paolo Bertolucci – gli insulti che ricevevo quando giocavano in doppio entravano in un orecchio e uscivano dall’altro. Però accettavo le sue rotture di scatole perché era uno dei migliori al mondo”.
Entrano in scena due racchette, una di cinquant’anni fa e una moderna. “Non so dire cosa avrei potuto fare con le racchette di adesso, è difficile dirlo ora” taglia corto Barazzutti.
Il discorso passa all’addio di Roger Federer che tanto ha emozionato nella notte tra venerdì e sabato. “Ho trovato di cattivo gusto, volgare e villano il fatto che i due americani (Sock e Tiafoe, nda) miravano in faccia Federer e Nadal – ha ammesso Panatta – fanno così solo perché non potevano fare altrimenti contro due campioni del genere”. “Sarebbe stato bellissimo se Federer avesse vinto due anni fa a Wimbledon e chiuso lì la carriera – dice Bertolucci – ma le favole non sono sempre a lieto fine”.
Nel 1976 a Santiago invece il cielo cileno si tinse d’azzurro. L’Italia vinse la sfida per quattro punti a uno, lasciando l’unica vittoria al Cile nel match finale, con il trionfo ormai già acquisito da parte della nazionale italiana. E pensare che quella squadra non la volevano nemmeno far partire. L’incontro si conclude con i tre tennisti e lo scrittore che giocano sul palco a ping pong. E con tanti applausi dal pubblico dell’Auditorium. Foto Giovanni Gobber.
(ao)