Direttore, eccomi qua!
Stavolta sarei curioso di conoscere il tuo parere sul famigerato politically correct, ovvero l’uso lessicale corretto sì tanto di moda nel voluto pensiero unico. Ma… voluto da chi? Non dal sottoscritto poiché ritengo che sia la più grande bischerata del nuovo millennio, per dirla in toscano, un’invenzione cervellotica dove l’ipocrisia trasuda in ogni vocabolo e dove, soprattutto, la ritengo una forma di senso unico studiato e voluto da una intellighenzia di dubbia specie. Altrimenti sarebbero intelligenti, non intellighenti.
Oggi, direttrice, appellare uno zingaro come tale equivale a beccarsi una querela; dobbiamo dire rom e con una o sola, mi raccomando, altrimenti da rom diventa una camera. Fossi uno zingaro m’inalberei, avvertendo la vera offesa in questo edulcorato “rom”. Io sono uno zingaro, figlio di Boemia, porto con me tutte le tradizioni e la cultura della mia terra; sono un gitano che non conosce la guerra e rom chiama tua sorella. La rima è voluta, direttrice, in memoria di Manzoni, il primo a scrivere con il metodo della poesia nascosta.
Lo stesso dicesi per l’africano, ben sai come l’espressione “negro” equivalga ad una bestemmia. Se per il rom mi offendessi, per il “colorato” esco dai termini del bon ton. Cosa sono diventato, un cioccolato? Un colore delle tempere? Un invisibile per fare pace con il razzismo? Razzisti lo sono chi persevera nel sventolare una bandiera contro la mia razza, obbligandomi nel definirmi un’espressione della pittura o di un cioccolatino. Io sono fieramente un negro così come lo sono i gialli cinesi ed i rossi indiani d’America, i bianchi latte scandinavi, i mulatti etiopi. Chiamatemi nigeriano, congolese, africano, appellatemi come volete ma lasciate nella mia pelle il colore della mia terra negra.
Scrivo tutto questo, direttrice, a corollario del ridicolo nel voler mettere al bando i racconti di Roald Dhal, lo scrittore dei bambini per eccellenza ed autore del fantastico “la fabbrica di cioccolato”, un’altra stupidaggine assurda uscita dalla fabbrica sforna-cretini del mainstream. Un taglia e cuci in atto da far passare come evoluti i censori dei film osè dei miei 14 anni. Quindi Matilde, la protagonista dell’omonimo libro di Dahl, non leggerà più Rudyard Kipling, considerato di mentalità retrograda e colonialista (ma dove???), bensì la progressista e femminista Jane Austen. Non farà più chic, direttrice, piuttosto presa politica. Dopo la sforbiciata a Matilde poteva mancare la celeberrima fabbrica di cioccolato? No. Infatti Augustus Gloop non sarà più enormemente grasso ma solo enorme, e così via.
Mi ricorda la supercazzola di Amici Miei ed il diversamente trombante rivolto al Mascetti. Roald Dahl è solo l’ultimo di una lunga lista di autori censurati, non ridiamoci su, direttrice, seppure sarebbe il caso, ma questa tragicocomica censura che va da Salingen con il suo “il giovane Holden”, fino a Cappuccetto Rosso definito un libro sessista, mi ricorda il divieto del governo Mao su Alice nel paese delle meraviglie. E la chiamano democrazia… A senso unico, così come ho scritto in apertura di queste 4 chiacchiere. Mentre la nuova oracolo della sinistra, la mezza americana-svizzera-italiana e soprattutto miliardaria Elly Schlein inaugurava il nuovo corso del PD con il solito corteo antifascista, i suoi giovani elettori rispondevano al grido “”Il maresciallo Tito ce l’ha insegnato, uccidere un fascista non è reato“.
Però Roald Dahl va censurato, per zingaro si rischia la querela, per negro si va in galera. In tutto questo, direttrice, nelle scuole primarie e medie si continua ad invogliare la lettura dei libri LGBT. Cosa vuoi fare? Sono politicamente corretti. Ah, il criminale maresciallo Tito è ancora insignito della più alta carica onorifica dello stato italiano. Stato con la esse volutamente minuscola, direttrice, passami almeno questa.
Marco Vannucci