Il Tigullio, un luogo della mente nella riviera ligure di levante: un’ansa magica di luce, mare e colli erti punteggiati di borghi e di magioni di gran pregio; sulla costa, locali, ristoranti, discoteche, via vai di bella gente, che va a condensarsi a Portofino, punta di diamante che vide nascere l’amore tra Liz e Richard, le vacanze di Rex Harrison, l’ormeggio di yacht prestigiosi, il passeggio di vip dell’orbe terracqueo. Alle spalle del water front, come oggi si direbbe, un vivace entroterra brulicante di attività, le cave di ardesia in Val Fontanabuona, con cui si rivestono i tetti liguri, le serre, e quel primato della popolazione tra le più longeve d’Italia.
Molti da qui emigrarono verso le Americhe, poco in quella del nord, dove finì per esempio la mamma di Frank Sinatra, Natalina “Dolly” Della Garaventa, originaria di Lumarzo; molti verso quella del sud, dove troviamo ad esempio, tanti “Sivori”, cognome tipicamente tigullino.
In anni passati Chiavari ambiva a staccarsi da Genova; infine sono rimasti uniti, perché in realtà questi territori sono parenti etnici e geografici, prima che la regione si inclini verso una “contaminazione” toscana.
Ma sia a mare che a monti la cronaca non ha risparmiato dispiaceri. Si ricorda, più di recente, l’orrida vicenda accaduta proprio a Lumarzo nel 2016. Claudio Borgarelli uccise e decapitò lo zio, per contrasti sui soliti confini di proprietà.
Tre storie sono principalmente rimaste nella memoria collettiva, tre casi irrisolti, o risolti con dubbio. Iniziamo da Gabriella Bisi.
Gabriella è un architetto milanese, single di ritorno. Sposata negli anni settanta, il matrimonio era già in declino quando il marito morì in un incidente, lasciandola giovane vedova. Nel 1987 Gabriella ha 35 anni e una relazione con un uomo sposato, di Santa Margherita Ligure, che incontra periodicamente e di certo in quell’estate. Ovviamente non andrà in vacanza con lui, ma con altre persone, a Ponza.
La Bisi ha una casa sulle alture di Rapallo, da cui esce domenica pomeriggio 2 agosto per recarsi da due amiche, le quali testimonieranno su un paio di telefonate che lei riferirà provenire appunto dall’amante Mauro. La donna, vestita da mare, esce per cambiarsi e la promessa di ritornare dalle stesse amiche, per poi andare a cena con loro, ma non si presenterà: viene ritrovata in una boscaglia detta altura delle Grazie, il 13 agosto, a seguito di una segnalazione anonima. Il cadavere è decomposto e sembra dato alle fiamme, ma si chiarirà che è solo riarso dalla calura e sfigurato dagli animali selvatici. La donna è stata uccisa per strangolamento, con le sue mutandine girate intorno al collo a garrota, una ventina di volte. Il suo appartamento presenta la porta chiusa senza mandate; dentro, finestre aperte, due tazzine con resti di caffè consumato e due milioni di lire sul tavolo. La macchina è parcheggiata nei pressi del condominio.
Mauro presenta un super alibi: era a cena con la moglie in una villa e fece anche un clamoroso tuffo vestito in piscina, per alcuni fin troppo esibito. Gabriella era stata segnalata forse in città o nei dintorni, a cercare un taxi o una corriera, se di lei si trattava.
Amici e familiari organizzarono una colletta per ricevere notizie che non sono arrivate. Qualcuno ha insinuato che la famiglia Bisi abbia tenuto un atteggiamento distaccato. La mamma di Gabriella era morta, il padre risposato, la sorella viveva all’estero. Un velo di mistero ammanta una storia su cui i media sono tornati di rado, mentre delle indagini è sparita traccia.
Saltiamo all’8 gennaio 2001, nel tiepido inverno portofinese, vissuto tra gli agi di villa Altachiara, una magione costruita dall’ inglese George Carnavon, mecenate dell’archeologia, nel diciannovesimo secolo; e rimasta in disponibilità a Francesca Vacca Graffagni, ex commessa e modella genovese, dopo il matrimonio con l’industriale degli elicotteri conte Corrado Agusta.
Corrado morì in regime di separazione legale e Francesca continuò la sua agiata vita, con il compagno Maurizio Raggio, un ristoratore vicino a Craxi, il che procurerà qualche grana anche a Francesca nell’ambito dell’inchiesta Mani Pulite. Finita la storia con Raggio, i due rimarranno amici e lui si farà inquadrare durante una corsa pazza a piedi dopo la morte di lei, mentre si dirige in villa a cercare notizie.
Al momento della disgrazia la padrona di casa, sofferente di nervi, senza figli, ma tornata in buoni rapporti col figliastro Rocky dopo questioni ereditarie, è in compagnia del nuovo compagno, il messicano Tirso Chazaro, e la sua dama di compagnia, Susanna Rocchetta. Infine si disse che Francesca, scossa dal suo disagio e da una lite con Tirso, si era nascosta nella camera dove di solito dormiva Raggio da ospite, poi aveva cambiato nascondiglio attestandosi dietro un muretto in giardino, da cui era scivolata lungo la sottostante scogliera. Fu restituita giorni dopo dalle correnti marine.
La copertura mediatica fu enorme, forse la prima così poderosa nella storia televisiva, con particolare e malevola attenzione verso la bella Rocchetta. Susanna per qualche anno si mostrò in giro, per esempio come attrazione a una festa di partito al Mako, locale di tendenza genovese nei primi anni duemila, poi optò per un rientro nella dimensione privata e si sposò. Nonostante un mare di chiacchiere, la storia è stata archiviata come incidente.
Veniamo ora al caso tuttora sotto esame, la morte di Nada Cella.
Nada nasce nel 1971 da una famiglia di Alpepiana, in Val d’Aveto: liguri di montagna, dirà Carlo Lucarelli nella puntata di “Blu Notte” a lei dedicata. Con un nome di battesimo allora in voga per il successo della giovanissima cantante Nada Malanima, la bambina cresce nella quiete di una famiglia serena, papà Bruno falegname che per lavoro vive nel paesino, madre, Silvana Smaniotto, bidella, e una sorella maggiore, Daniela. Il nucleo risiede a Chiavari. Daniela si sposa e va a vivere a Milano, in casa rimane la piccola Nada: diplomata perito aziendale, nel 1996 è segretaria da ormai cinque anni presso lo studio del commercialista Soracco in via Marsala, nell’affollato centro chiavarese. Lo studio è in un appartamento al secondo piano; sopra abita il titolare, Marco Soracco, trentaduenne, che vive con la madre, Marisa Bacchioni e la zia Fausta.
Cha vita conduce la giovane? Di lei sappiamo meno di quanto è stato detto della romana Simonetta Cesaroni, alla cui tragica storia viene spesso abbinata. Sono entrambe due brunette dal fisico scattante e snello, tratti popolani, lunghi capelli scuri, ma Cesaroni è descritta esuberante e reattiva, Nada introversa e riflessiva. Simonetta, morta a vent’anni, ha una storia d’amore e molti corteggiatori; Nada viene definita timida e riservata, una cotta adolescenziale finita in delusione, attorniata solo da amici, amante dei viaggi, della bicicletta con cui va a lavorare, studiosa, sempre impegnata a migliorarsi.
Si parte dal 4 maggio 1996, sabato, giornata di riposo per lei: che, però, si sarebbe eccezionalmente recata in ufficio, in quanto preoccupata per una pratica mal gestita. E’ vero questo?
Lo sappiamo dalla madre del commercialista e dalla donna delle pulizie. Le due scendono sempre a studio il sabato mattina, per riordinare, ma quel giorno beccano la Cella che traffica al pc ed estrae un floppy disk. Nada si sarebbe giustificata dicendo di temere di aver commesso un errore. L’episodio per noi rimane controverso. Nessun altro ha parlato di questa incursione, la famiglia di Nada non ne accenna, e negli anni è stata riferita in modi diversi. A volte si legge che Nada avrebbe chiamato Marco per chiarimenti, ma questi afferma di essere stato a letto in quel frangente.
Domenica la ragazza è ad Alpepiana con mamma e papà: mattina a messa, pranzo, pomeriggio a guardare la Formula 1, La sera le donne tornano a Chiavari, l’indomani si lavora.
Lunedì 6 maggio 1996. Silvana non ha sentito la sveglia e Nada la accompagna a lavoro con la propria auto. Qui riscontriamo qualche difformità. Lucarelli racconta che Nada, uscita di fretta e un po’ in disordine, ritorna a casa per rassettarsi, ma anche per fare i letti e approntare il pranzo; di solito invece si legge nelle cronache che la ragazza avrebbe semplicemente posteggiato l’auto per prendere la bici,
Qui il racconto si riunisce e troviamo Nada al panificio di fiducia, mentre acquista pane e la tipica focaccia che quasi ogni ligure si gusta durante una normale giornata. Nada, quella mattina, la dimentica sul bancone, ma ciò non appare particolarmente strano, vista la fretta per una giornata partita in ritardo. Il resto è supposizione, fino al momento in cui lei verrà ritrovata agonizzante. L’esercizio non rilasciò scontrino e si perde così un indizio importante.
Nada, che ha come orario d’ingresso le nove, arriva in via Marsala, ma non si sa quando. Viene dato per certo che il suo computer sia poi risultato acceso alle 7.51, con il lancio di una stampa alle 8.50, che non riguardava un cliente. Sarebbe utile leggere le risultanze della perizia, ricordando i dati distopici sul pc della Cesaroni, ma diamo per buona l’ufficialità. Circa alle 8.45 una cliente dello studio sostiene di aver telefonato senza ricevere risposta. Dopo qualche minuto la signora richiama e le risponde una voce femminile non giovane, con tono sbrigativo, replicando che ha sbagliato numero e subito riattaccando. Verso le nove l’inquilina dell’appartamento adiacente avverte un tonfo e un rumore come di colpi ripetuti sul pavimento, poi quello di passi che scendono le scale. Una donna che transita vicino a via Marsala si accorge di una sua conoscente “sporca” che sta salendo sul motorino ma, al suo tentativo di saluto, finge di nulla. Anticipiamo che si sarebbe trattato di Anna Lucia Cecere, odierna indagata. Un uomo parla di un motorino nero e di una giacca color senape. Verso piazza Cavour, a un passo da via Marsala, madre e figlio notano una donna dai capelli bruni, con la mano destra fasciata e sanguinante, ma questa era a piedi. Ne uscì un fotofit.
Alle 9.10 Marco Soracco lancia l’allarme al 113 per “una caduta”. Soracco è l’ unico testimone di quei minuti e ci riferisce di essere sceso verso le nove, anche per lui ora di inizio lavorativo. Compie i gesti di routine; apre la porta, che non ha mandate, dando per scontato che la dipendente sia già in sede, poggia la borsa sulla scrivania che è nella prima stanza a destra, nota la luce accesa nel corridoio, segno che è già arrivato qualche cliente – la accendevano solo in quel caso. Subito sente il telefono squillare, non risponde perché quello è compito di Nada, ma lo squillo continua, Marco procede verso il vano occupato dalla segretaria e si trova davanti all’orrido spettacolo. Non sa che pensare, vede il sangue, ma non va oltre. Grosso modo il racconto di Soracco è rimasto lo stesso negli anni, considerato che il tempo altera le memorie; cambia ogni tanto l’orario, ma di minuti, e non è insolito, non si vive guardando l’orologio. L’ambulanza arriva quasi subito.
Questa la scena che si presenta
Nada ha perso molto sangue, ha gli occhi sbarrati e respira appena; così la trovano i barellieri, tra i quali un suo amico, che ovviamente pensano a soccorrerla, e dovranno giocoforza alterare l’ambiente. Presto è chiaro che non si tratta di caduta o malore: si trovano ferite sul corpo e una grave lesione che ha schiacciato il cranio; è emerso di recente che anche Nada, come altre vittime femminili, è stata attinta al pube. Di fatto non è ancora chiaro con cosa sia stata colpita, ma si parla anche di botte, oltre che di corpi contundenti.
Nasceranno polemiche su circostanze in parte gonfiate. Molti condomini si accalcarono, ma non invasero l’appartamento; Nada perdeva sangue, che gocciolava su pianerottolo e scale: per questo la madre di Soracco, Marisa, pulì questa parte del percorso, su cui il calpestio aveva già prodotto i suoi danni, provocando macchie e colature. La signora Bacchioni dichiarò in seguito che per nulla al mondo sarebbe entrata in quell’ufficio, se non altro per la sua impressionabilità.
Quando si parla di indagini fatte male, ormai, è come ascoltare un mantra. I nuovi esperti di cold case si mettono galloni e pontificano, ma non c’erano.
Sotto esame finì subito il commercialista nonché datore di lavoro, uomo non troppo espansivo, ma pacato e disponibile, che non si è mai sottratto alle interviste e agli assalti dei reporter. Marco ha sottolineato più volte di non aver mai corteggiato la dipendente, per ragioni caratteriali, né di averle mandato i famosi fiori che con un biglietto anonimo erano pervenuti a Nada al suo indirizzo di casa. Lui e la ragazza si scambiavano qualche discorso su temi generici, ma di lei non sapeva nulla.
Nada si era lamentata del suo capo? E’ mamma Silvana a raccontare di un’ insofferenza della figliola, ma in generale la signora ha ammesso che non riusciva a scucire più di tanto alla giovane, abbottonatissima su tutto; e d’altronde, chi non ha mandato qualche volta al diavolo il boss? Nada è descritta come una creatura eterea, allegra ma chiusa. L’invasività dei media ha trovato un muro, di talché il quotidiano cittadino titolò “Nada era vergine”, con lo stesso tono che avrebbe usato per descrivere il contrario, una pruriginosità che lasciava comunque in sospeso delle domande.
Apparve infatti singolare che una ragazza di 25 anni, li avrebbe compiti a luglio, non avesse un fidanzato né un ex degno di indagine, nulla di nulla. Daniela dichiarò che la sorella aveva alti ideali e aspettava il principe azzurro; nel frattempo il lavoro, le serate in discoteca, le ore in palestra e a scuola d’inglese e l’affetto familiare le riempivano l’esistenza. Nelle immagini disponibili si vede una ragazzina che non disdegna le giuste civetterie, minigonne, bikini ridotti, scollature, non una monacanda. Per questo si piombò su Soracco, unico maschio che gravitava nella sua orbita e aveva la possibilità di farle del male giocando in casa, ma l’ uomo, infine, fu ritenuto estraneo.
Le indagini non si fermarono. Si percorsero diverse piste, come quella di alcuni condomini di via Marsala, un militare, una donna diversamente abile; e perfino dei vicini di casa dei Cella, serbi, coinvolti nel racket della prostituzione, ma senza esito.
Il 27 luglio 1999 papà Bruno sta andando al cimitero, come fa spessissimo, per pregare sulla tomba della figlia; lungo il percorso ha un infarto, esce di strada e si riunisce al suo angelo.
Col nuovo millennio il caso si raffredda, ma il fascicolo è sempre aperto e nel 2021 scoppia la bomba. C’ è un nuovo indagato, o meglio ripescato, appunto Anna Lucia Cecere, un’operatrice sanitaria campana che nel 1996 viveva a Chiavari, vicino a via Marsala. La Cecere, al tempo quasi coetanea di Nada, poco dopo il delitto si era trasferita nel cuneense, dove si era sposata e aveva avuto un figlio. Anna però ne aveva un altro, lasciato a vivere col padre, per questo nei primi rapporti veniva indicata come “ragazza madre”, definizione usata dagli informatori che avevano parlato di lei sin dalle prime battute investigative del tempo. Perché non è stata perseguita dalla legge allora?
In effetti questa persona entrò subito nelle indagini, ma la sua posizione fu archiviata. Molto tempo dopo una criminologa, Antonella Delfino Pesce, che assiste la famiglia Cella, andò a bussare alla sua porta e la Cecere se ne risentì, reagendo malamente con frasi a tono vendicativo. Venne fuori una prospettazione a oggi non ancora dimostrata.
Nel nuovo modulo investigativo la ragazza era invaghita di Soracco, di cui frequentava la comitiva, con uscite collettive, ma mai a due; in un’occasione si presentò allo studio, ma il commercialista non c’era e lei si trovò di fronte Nada che, a suo dire, l’avrebbe trattata con poco garbo; all’indomani della morte della Cella, costei si sarebbe precipitata a chiedere di essere assunta al suo posto, benché non avesse le giuste referenze, ma ovviamente la richiesta non fu presa in considerazione, anche perché l’ufficio era sotto sequestro e in seguito l’attività fu sospesa; le incessanti intercettazioni evidenziarono un messaggio nella segreteria telefonica di Soracco in cui Anna Lucia negava rabbiosamente di aver mai avuto un debole per lui, anzi ribadiva di schifarlo.
Nel tempo sarebbero emerse altre comunicazioni anonime di una signora, appartenente a un gruppo di cinque donne, di ambito religioso, che attesterebbero la presenza della Cecere quella mattina in via Marsala e perfino la disponibilità di un prete a rivelare il contenuto di una confessione. Sono stati comparati bottoni simili a quello rinvenuto sulla scena del crimine, di solito cucito su capi da mercatino.
Quello trovato vicino a Nada in realtà era sprovvisto del bordo esterno; la Cecere ne avrebbe conservati cinque in un cassetto a casa, dichiarando che erano stati “salvati” dal vecchio giubbotto di un suo ex, ma i Carabinieri non avrebbero trasmesso l’informazione alla Polizia, delegata alle indagini: così ci entrano pure bene un conflitto e un’omissione tra corpi dello Stato e un’accusa di insabbiamento. Infine, questa giovane donna sarebbe stata gelosa di Nada anche perché madre e zia di Soracco avrebbero prediletto la Cella come eventuale fidanzata di Marco, magnificandogliela, peraltro senza risultati.
La Cecere viene di nuovo indagata, circa nel 2021, e salta fuori che è tuttora in possesso di quel suo vecchio motorino, su cui si avventano le analisi del DNA, a oggi con esiti ovviamente non utili. Stanno scorrendo i sei mesi richiesti dalla Procura per approfondire gli elementi a disposizione. Soracco ha dichiarato di averla conosciuta appena e di non serbare particolari ricordi di lei, ma finisce di nuovo indagato, questa volta per falsa testimonianza, insieme alla madre: non avrebbero detto tutto quello che sapevano. La sospettata protesta di essersi trovata, in quelle ore, già a Sestri Levante, nello studio di ortodonzia dove effettuava pulizie, ma il dentista naturalmente non lo ricorda. E’ stato loro chiesto nel 1996?
Tiriamo le fila, o almeno proviamoci.
Su cosa accadde il 6 maggio 1996 non abbiamo certezze, almeno quelle prodromiche a una corretta analisi; ignoriamo quando Nada è arrivata in ufficio, se fu lei ad aprire il pc e a lanciare la stampa, chi rispose liquidando la cliente al telefono. Non è chiaro nemmeno se le serrande dell’ufficio fossero aperte, come sarebbe stato logico, o chiuse, magari perché Nada non aveva ancora fatto in tempo a tirale su.
Il killer entra senza problemi: o era atteso o è stato fatto entrare. Nada si trova in situazione di fiducia, altrimenti avrebbe reagito già in corridoio e sarebbe stata assalita lì, invece è seduta o sta per sedersi alla sua scrivania. Probabilmente viene aggredita alle spalle, e i suoi oggetti personali si spargono per terra; borsa, borsellino e una scarpa. Sulla scrivania e intorno non manca nulla, c’è un relativo ordine, con i fascicoli e le carte di lavoro; fino a prova contraria non si può dimostrare la presenza di un oggetto pesante, come l’ipotizzato portacenere di onice, per stordirla: quindi, per l’ennesima ed estenuante volta, siamo davanti all’assenza dell’arma principale.
Dopo il primo colpo che fa cadere la vittima, l’aggressore si scatena con pugni e calci, sbatte la testa della poveretta contro il pavimento e fugge senza accertarsi che sia morta, un rischio per lui.
Più o meno questo è tutto quello che viene comunicato dall’autopsia e dai rilievi. Nada morirà in ospedale a Genova, dopo vani tentativi di salvarla.
La riesumazione di “casi freddi” è ormai strutturale, ma assume talora contorni grotteschi, perché ci si occupa di storie già post moderne. Oggi non si può più affermare che le tecniche daranno risposte, rispetto a casi degli anni novanta e avanti, perché al tempo c’era già tutto quello che serviva; e un’indagine basata su scrupolo e logica poteva e può offrire soluzioni, ma l’impressione è quella di una “cappa”, come sostiene la famiglia Cella: tutto sta a intendersi riguardo a cosa la fa calare sulla verità, ottenebrandola.
Un contesto, uno sfondo, uno scenario devono precedere il fatto in sé; vittimologia, ambiente, frequentazioni, rapporti, relazioni. La fase tecnica è indispensabile, parliamo di perizie informatiche ed esame dei luoghi, oggi possibili in 3d e con i dati a disposizione dei computer di allora. Il pool di esperti così composto può offrire acriticamente il contributo rispettivo e la magistratura, con personale specializzato in scena del crimine, proverà a individuare le dinamiche e, infine, l’assassino.
O gli assassini. Perché anche nel caso di Nada non si può escludere tale possibilità. L’agguato è stato perfetto, nessuno ha notato presenze né avvertito grida o strepiti, in un orario in cui la gente entra ed esce, arrivano gli addetti a pulire le scale, la città si anima e brulica, mentre costui se ne sarebbe uscito, praticamente senza lasciare tracce di sangue, come spesso sentiamo, dopo una carneficina: attuata anch’essa con metodo, dimostrato dagli schizzi circoscritti a un angolo, senza gli spargimenti e i rivolgimenti inevitabili nel caso di omicidio d’impeto da parte di un killer improvvisato.
L’uccisore potrebbe essere salito, anziché uscire? Qualcuno ha riferito del sibilo dell’ascensore, ma questo non dimostra nulla. E’ stato detto anche per l’omicida della Cesaroni, ma in via Poma c’era un caseggiato immenso, con sotterranei e passaggi protetti sulle terrazze del tetto; in via Marsala abbiamo un condominio degli anni del boom, apparentemente esposto a sguardi dei ravvicinatissimi edifici circostanti e il tempo per dileguarsi sarebbe stato ridottissimo, in pochi minuti era scattato l’allarme di Soracco; tracce zero e possibilità di risalirvi oggi, altrettante.
A voi le conclusioni, davanti a una probabile nuova archiviazione; o, se essa non avverrà, a un giudizio basato su ricordi sbiaditi, giornalisti che saltellano davanti ai citofoni in cerca di improbabili memorie e criminologi che si presentano ai campanelli senza essere invitati. Non è così che funziona. Poiché ogni velo sulla tanto decantata privacy è caduto, dopo 27 anni, fuori gli atti: che indaghi la cittadinanza a questo punto, qualcosa verrà fuori e non può essere meno di quanto si è riusciti a trovare finora.
Carmen Gueye