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L’OPINIONE. Strage di Erba: e se fossero tutti innocenti?

Si riapre il processo ad Olindo e Rosa, condannati per la strage di Erba del 2006. E si impone una riflessione sul circo mediatico-giudiziario che , purtroppo, avviene tutt’oggi sulle reti televisive al mattino , al pomeriggio e anche la sera anche per altri «casi giudiziari» mentre le indagini investigative sono in corso.

Martedì scorso la Corte d’Appello di Brescia ha dato il via libera all’istanza di revisione del processo relativo alla strage di Erba, nel comasco. È stata accolta la richiesta avanzata dal sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser e dal team di avvocati guidato da Fabio Schembri. La Corte bresciana ha emesso un decreto di citazione a giudizio per una nuova udienza (primo marzo) nei confronti di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi che furono condannati all’ergastolo nel primo processo. A distanza di quasi 18 anni, quindi, nelle aule giudiziarie si tornerà a parlare di quel tragico evento. Questo perché sta emergendo una pista alternativa legata allo spaccio nordafricano e a una vendetta nei confronti di Azouz Marzouk. Ciclicamente sono stati avanzati dubbi sulla «attendibilità» di quel verdetto, ma finora non si era arrivati a una decisione così clamorosa per iniziativa della Procura Generale della Corte di Appello di Milano e dei legali di Olindo Romano e Rosa Bazzi che, attraverso «indagini difensive» (mai interrotte, per provare l’innocenza dei loro assistiti malgrado il «sistema giudiziario accusatorio» li avesse condannati, c’’è da domandarsi se a priori) avrebbero infatti raccolto e depositato all’A.G. (Autorità Giudiziaria) alcune inedite testimonianze che potrebbero riaprire il caso e ribaltare la «verità processuale» definita nelle sentenze. E n on sarebbe la prima volta , se s’avverasse, che una «verità processuale» non corrisponda alla verità dei fatti. Ma al di là del merito della vicenda, nonostante non si possa ancora parlare di ‘’errore giudiziario’’, alcune domande sorgono spontanee: come è possibile che due persone rimangano in carcere per 15 anni senza la certezza che siano colpevoli? A questa domanda mi verrebbe da rispondere «è possibile!» ed è possibile perché l’ho provato sulla mia pelle ed ho conosciuto persone che sono rimazste in carcere anni su anni e ancora anni innocenti. Perché queste due nuove testimonianze non sono state prese in considerazione all’epoca ed emergono solo ora? L’ennesimo esempio di malagiustizia dovrebbe stimolare considerazioni amare sullo svolgimento di alcuni processi, profondamente condizionati da una loro eccessiva spettacolarizzazione.

La “strage di Erba” come i media l’anno subito battezzata, è assurta agli onori della cronaca per l’efferatezza del crimine, fu un ‘’processo mediatico’’ cioè effettuato sulle reti televisive e sulle testate giornalistiche in barba al dettato giudiziario della «presunzione di innocenza». Giocarono le interviste e la particolare personalità dei due accusati, semplici persone, non istruite e mai trovatisi ‘’alla ribalta delle cronache’’ e anche per il fatto che una delle vittime, pur avendo riportato lesioni gravissime, è sopravvissuta ed ha potuto testimoniare e avvalorare la ‘’teoria’’ dell’accusa. Ma i processi nei quali si mettono in gioco le vite dei ‘’presunti colpevoli’’ e dei loro familiari devono basarsi su ‘’prove provate’’ e non su teorie accusatorie pubblicizzate sulla carta stampata e dalle reti televisive tramite ‘’interviste’’ e ‘’comunicati’’ di chi , invece, dovrebbe mantenere il riservo del ‘’segreto istruttorio’’. Chi scrive , purtroppo, lo ha vissuto sulla propria pelle negli anni ‘80 del secolo scorso e grazie a internet ne è tutt’oggi ‘’vittima’’. PROVE , quelle che deve portare l’accusa sena innamorarsi di TEORIE; PROVE quello che deve ritenere il magistrato giudicante senza lasciarsi offuscare dalla CAMPAGNA MEDIATICA COLPEVOLISTA che spesso , spessissimo si basa più su emozioni e odii che su ‘’logica processuale’’. Perché quando le indagini giudiziarie e i processi diventano ‘’gogne mediatiche’’ , vedi il caso dell’influencer Ferragni, si alterano gli equilibri e il verdetto spesso nasce dalla prevalenza di una visione colpevolista nei confronti degli imputati. In altri termini, se l’opinione pubblica si forma il convincimento che quelle persone possano essere colpevoli, il massacro mediatico orienta inevitabilmente in quella direzione la decisione dei giudici. I casi più eclatanti di cronaca nera dicono questo e quante volte si è sentito ‘’condannato ingiustamente’’ , ‘’dopo anni di carcere assolto perché innocente’’. La gogna mediatica nei confronti degli «avvisati» e poi degli «imputati», considerati fin dall’inizio colpevoli a prescindere dall’andamento del processo, rappresenta una patologia molto grave della nostra democrazia, del nostro sistema dei media e soprattutto del nostro sistema giudiziario. Il primo marzo si apre dunque un capitolo nuovo di una vicenda che in tanti ritenevano definitivamente chiusa. Se dovesse esserci un ribaltamento clamoroso della sentenza di condanna dei due imputati, saremmo di fronte all’ennesimo caso di errore giudiziario, che conferma la necessità di una revisione di alcuni meccanismi processuali e l’esigenza di una maggiore sobrietà nella rappresentazione mediatica delle vicende processuali.

La revisione processuale è prevista dagli artico 629 e seguenti del codice di procedura penale e si tratta di un’impugnazione straordinaria di sentenze già passate in giudicato. L’istanza di revisione può essere richiesta dalla persona condannata o dal procuratore generale. Chiaramente, per poter arrivare alla revisione occorre che emergano nuovi elementi, alla luce dei quali chi è stato condannato «risulti innocente o sorga un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza». Si tratta di un istituto a cui non è affatto semplice accedere, perché il «sistema giudiziario» e soprattutto la magistratura, suo organo, non ammette l’errore giudiziario, se pur tuttavia sappiamo precisamente che gli errori esistono e li commettiamo tutti.

Gli avvocati difensori di Olindo e Rosa sostengono che i loro assistiti sono innocenti e che la loro condanna è il risultato di “falsità”. Quali gli elementi che devono essere scardinati per arrivare alla revisione del processo ? Sono tre:

– il primo elemento è la macchia di sangue rinvenuta sull’auto di Olindo Romano (potrebbero non gtrattarsi di sangue, il che sarebbe grave!)

– secondo elemento la confessione di Rosa Bazzi, in cui si assume la responsabilità dell’omicidio del bambino (sembrerebbe che le sue «confessioni» siano dichiarazioni prive di qualsiasi fondamento RISCONTRATO e nei verbali si puo’ leggere che nel corso degli interrogatori ha chiesto più volte quali dichiarazioni aveva fatto il marito)

– il terzo elemento è la testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage: Mario Frigerio che fin da subito ha individuato in Olindo Romano l’aggressore che lo ha colpito (Frigerio però è morto nel 2014 e quindi saranno utilizzati solamente i verbali interrogatori nel corso delle indagini e le dichiarazioni rese nelle aule giudiziarie)

Secondo gli avvocati dei coniugi però, il movente dei delitti sarebbe da ricercare nella testimonianza di una persone che abitava nel condominio teatro della strage. Un uomo mai sentito dalle forze dell’ordine. Stando alle sue dichiarazioni l’appartamento in cui sono state trovati i corpi delle vittime era una base di spaccio e i membri della famiglia di Marzouk, sarebbero stati uccisi per vendetta da una banda rivale.

Per motivare come non fossero genuine le confessioni di Olindo Romano e Rosa Bazzi (poi ritrattate) per la strage di Erba, i loro difensori alla richiesta di revisione della sentenza hanno allegato elaborati di esperti che hanno “rilevato disturbi psicopatologici in Olindo e Rosa e deficit cognitivi importanti in Rosa”. Elementi non valutati nei precedenti processi e che, invece, costituiscono una “nuova prova” ottenuta con una “consulenza multidisciplinare”. Per gli esperti degli avvocati della coppia condannata all’ergastolo e per la quale i legali chiedono l’annullamento della sentenza, Rosa è “una persona vulnerabile a causa di una disabilità intellettiva (altrimenti nota come ritardo mentale) che coinvolge lo sviluppo di tutte le funzioni cognitive, comprese le funzioni cognitive necessarie per permettere al soggetto di produrre valide dichiarazioni”. Anche a Olindo Romano, per gli esperti, “sono stati riscontrati importanti aspetti psicopatologici disfunzionali” e quindi era a sua volta “un soggetto inidoneo a rendere dichiarazioni valide nel contesto in cui queste sono avvenute, poiché è risultato avere un profilo di personalità acquiescente, con un’abnorme tendenza alla credulità e con scarso senso di autoefficacia e, quindi, con una forte tendenza ad adeguarsi alle richieste e a credere a quanto gli viene prospettato anche se irrealistico”.

L’ammissibilità delle prove sarà fondamentale per stabilire l’orientamento dei giudici durante l’udienza del primo marzo, che decreterà l’inizio della discussione sull’istanza di revisione della sentenza. Come in ogni processo, le parti coinvolte dovranno esprimere la propria posizione sull’ammissione delle nuove prove, sulle quali la difesa di Olindo e Rosa si basa per ribaltare un processo che è stato confermato in ben tre gradi di giudizio. L’accusa sarà rappresentata dal procuratore generale di Brescia, mentre le parti civili, ovvero i familiari delle vittime della strage, dovranno decidere se costituirsi nuovamente. Se le nuove prove saranno ammesse, la Corte potrebbe rivedere il verdetto. Anche nel caso in cui nessuna prova dovesse essere ammessa, si procederà con le conclusioni della procura generale e delle difese. La decisione della Corte sarà fondamentale: confermare o annullare la sentenza di condanna.

E se Olindo e Rosa alla fine di questo nuovo capitolo della vicenda della «strage di Erba» venissero dichiarati innocenti? Nessuno potrà restituire a Olindo e Rosa il tempo trascorso in cella, nessun «risarcimento economico da parte dello Stato» , se mai ci possa essere (poiché già avanzo dubbi) per la dignità e libertà e vita familiare rubate. Non poche colpe allora dovrebbero essere attribuite alle trasmissioni televisive e articoli giornalistici che, fin dall’inizio, con un approccio «dagli all’untore», si sono scagliate contro di loro che dovrebbe far pensare all’Ordine Nazionale dei Giornalisti di rivedere seriamente la mancata applicazione del codice deontologico giornalistico e al governo e Parlamento di «ripensare» e modificare il «sistema accusatorio» giudiziario italiano che dice : io ti accuso di essere colpevole e tu devi provare di essere innocente.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.