Stavo pensando alla «dignità sociale». La «pari dignità sociale» è un diritto ed esso vige tanto per i cittadini quanto per gli stranieri, poiché al centro della Costituzione vi è l’essere umano in quanto tale. E questi vanta un diritto, indisponibile, ad essere trattato come essere umano, da uomini e donne suoi pari, quale che sia il rapporto nel quale esso si venga a trovare: segno evidente della volontà di superamento dell’individualismo liberale delle carte dei diritti ottocentesche (e non solo di quelle), il quale permette di considerare il cittadino come «essere umano sociale», come punto di riferimento individuante la socialità dell’essere umano.
E’ l’art.3 della Costituzione che garantisce questa «parità» di dignità sociale per tutti. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (nella prospettiva giuridica qui adottata, l’eguaglianza si può sintetizzare anzitutto nella parità formale tra tutti i cittadini, inibendone così discriminazioni; essa si raccorda idealmente all’art. 1 della CEDU; vengono quindi in seguito specificati i singoli divieti , le mancanze di distinzioni di cui al termine del primo capoverso, cui ancorare una effettiva tutela del pari trattamento) e sono eguali davanti alla legge (come anticipato, per legge è da intendersi ogni fonte disciplinante il complesso dei diritti da tutelarsi, ivi comprese quelle comunitarie , art. 20 CEDU; le leggi che introducono differenziazioni tra categorie o situazioni sono sottoposte ad una valutazione di conformità alla Costituzione in riferimento all’articolo 3), senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali (eguaglianza comprende altresì il divieto di discriminazione, ed il dovere di imparzialità, alla luce del canone di razionalità: particolare rilievo assumerebbero le “condizioni personali e sociali”, che avrebbero la loro radice in ragioni soggettive indefinite e quindi più facilmente eludibili. Sarà compito del Giudice costituzionale sancire eventuali disparità).
È compito della Repubblica quindi rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale , che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (la salvaguardia e l’effettiva tutela di cui al secondo comma, qui esaminato, prevede altresì il trattamento differenziato di situazioni diverse; la complessità spesso crea diseguaglianze latenti, ma che esigono trattamenti razionali e paritari, onde non sconfinare in diseguaglianza di fatto; detti trattamenti saranno possibili solo se riconducibili ad analoghi principi ispiratori: il monito è al legislatore, per attivarsi in varie direzione, soprattutto per i cosiddetti diritti sociali; diversamente, quindi, dovranno applicarsi i meccanismi del giudizio di eguaglianza e del giudizio di ragionevolezza: ossia, la verifica della giustificatezza di una differenziazione normativa o di una assimilazione costituzionalmente possibile).
La Carta Costituzionale, la nostra Costituzione, contiene, all’interno dei primi dodici articoli, i principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano. A differenza di altre Costituzioni straniere, il Costituente ha preferito inserire tali principi direttamente nel testo della Carta fondamentale, senza cioè relegarli in un preambolo separato, al fine di evitare qualsiasi dubbio sull’ampiezza della propria efficacia e sulla immediata applicabilità.
Così facendo, i principi non fungono solamente da ‘’criteri guida’’ cui i poteri pubblici dovrebbero anzi devono conformarsi, ma altresì come norme che vincolano l’interprete. Per quanto concerne l’art.3, al primo comma viene posto il principio dell’uguaglianza formale tra i cittadini, quale regola fondamentale di ogni Stato di diritto. Il secondo comma invece sancisce il principio dell’uguaglianza sostanziale, secondo cui è compito preciso dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza dei consociati.
Premesso che la norma non si riferisce in realtà solo ai cittadini italiani, ma a qualsiasi persona, essa ha valenza generale e si riferisce a tutte quelle ipotesi in cui è necessario che situazioni uguali siano trattate in maniera uguale, e che situazioni diverse siano trattate in maniera diversa. Quanto al principio di uguaglianza formale, trattasi della pari soggezione di tutti i cittadini al diritto, senza alcuna distinzione. Tale riconoscimento implica che tutte le Autorità e di poteri dello Stato sono egualmente soggetti alla legge. Ciò non toglie che possano essere previste disciplina differenziate per casi particolari, come l’art. 6 Cost., che impone di tutelare le minoranze linguistiche.
Come anticipato sopra, il divieto di discriminazione va interpretato in una duplice accezione: A) le leggi, anche quando riferite a gruppi determinati, non possono avere carattere personale o singolare, a meno che non esistano giustificate ragioni (si pensi alle leggi di interpretazione autentica con efficacia retroattiva); B) il principio di uguaglianza non vieta in assoluto trattamenti differenziati, ma impone discriminazioni irrazionali o irragionevoli. Il principio di ragionevolezza è infatti un naturale corollario del principio di uguaglianza, ed esige che le norme dell’ordinamento, in tutte le loro forme, siano adeguate al fine perseguito. Esso rappresenta pertanto uno stringente limite alla discrezionalità del legislatore. Le norme irragionevoli possono essere infatti oggetto di falcidia costituzione anche e soprattutto per irragionevolezza.
La Corte Costituzionale, nel valutare la ragionevolezza, si serve del cosiddetto ‘’tertium comparationis’’, al fine di avere un parametro di riferimento. La verifica della ragionevolezza comporta l’indagine sui suoi presupposti, la valutazione della compatibilità tra mezzi e fini, nonché l’accertamento dei fini stessi.
Per quanto riguarda l’uguaglianza sostanziale, essa implica che lo Stato si adoperi effettivamente ed efficacemente per assicurare la parità dei diritti. Il legislatore è dunque tenuto ad azioni positive per impedire che il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali e sociali diventino causa di una discriminazione di fatto.
Nella «Relazione al Progetto della Costituzione» del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana del 1947, si può leggere: «Il principio dell’eguaglianza di fronte alla legge, conquista delle antiche carte costituzionali, è riaffermato con più concreta espressione, dopo le recenti violazioni per motivi politici e razziali. E trova oggi nuovo ed ampio sviluppo con l’eguaglianza piena, anche nel campo politico, dei cittadini indipendentemente dal loro sesso.».
Col giusto risalto dato alla personalità dell’essere umano non vengono meno i compiti dello Stato. Se le prime enunciazioni dei diritti dell’uomo erano avvolte da un’aureola d’individualismo, si è poi sviluppato, attraverso le stesse lotte sociali, il senso della solidarietà umana. Le dichiarazioni dei doveri si accompagnano mazzinianamente a quelle dei diritti. Contro la concezione tedesca che riduceva a semplici riflessi i diritti individuali, diritti e doveri avvincono reciprocamente la Repubblica ed i cittadini.
Caduta la deformazione totalitaria del «tutto dallo Stato, tutto allo Stato, tutto per lo Stato», rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune. «Lo Stato — diceva Mazzini — non è arbitrio di tutti, ma libertà operante per tutti, in un mondo il quale, checché da altri si dica, ha sete di autorità».
Spetta quindi ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Mentre spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l’autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini come le donne siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso». E qui penso di poter concludere.
Marco Affatigato