Capita che in questo nostro tempo vengano «pontificati» normali cantautori, siano chiamati «musicisti» dei semplici rapper o trapper, portati alle stelle come «narratori» ex-magistrati scrittori di gialli, per non dire poi dei due fenomeni: giornalisti-presentatori-conduttori spacciati per «filosofi di vita» e gli «slam-poetry», cabarettisti, spacciati per poeti. Senza poi dimenticare gli autori di serie televisive composte da semplici trovate e fotocopie di atti giudiziari, definiti grandi artisti dell’arte visiva. La «cultura» italiana sembra ormai diventata il grande palcoscenico che ospita in numeri vari soggetti della «società-spettacolo» e l’affermarsi pubblicamente di figure spesso al limite dell’analfabetismo culturale. Così che la distinzione tra «intrattenimento» e «cultura» si è venuta facendo sempre più labile, con evidente prevalenza dell’intrattenimento spacciato per cultura, i cui attori temporanei vengono esaltati pubblicamente come «grandi» o addirittura «geni». Sia chiaro: per me c’è posto per tutti, ma purché si sappia ancora distinguere e ognuno sappia stare al suo posto.
Nell’intrattenimento, infatti, in Italia sono emersi veri e propri giganti: attori, interpreti, comici, cantanti e autori di musica leggera (quest’ultimo è ormai un aggettivo abolito dal «politicamente corretto»). Allora qual è il problema? È che è assente la presenza dei veri protagonisti della ricerca espressiva, sempre più resa invisibile e sommersa da montagne di trash, dal cosiddetto «pop» di cui il popolo è solo fruitore e per niente creatore, che i media promuovono con gioia. Questo grazie anche ad un equivoco di fondo: cioè che sia decisivo lo «apparire» visto che, nella spettacolarizzazione totale del presente, chi non appare viene considerato inesistente. È la dittatura dell’ignoranza con i surrogati di facili consumi, con il relativo quanto inevitabile abbassamento del livello di autonomia e competenza di giudizio di un pubblico spinto a divenire «mercantilmente» consumatore.
Sarebbe invece importante tornare a distinguere tra «intrattenimento», cercando anche di promuovere quello buono, e il «lavoro di approfondimento», ricordando che solo l’attenzione alla complessità, la presenza nell’opera di un pensiero, di un’idea del mondo, possono migliorare la condizione mentale del nostro esserci. La crescita di un Paese non può essere solo un problema di economia.
Marco Affatigato