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L’opinione: più cultura sulle reti radio televisive di stato; la RAI

Sapevate che alla RAI-TV esiste un «UFFICIO STUDI DELLA RAI»? La missione di questo ufficio, prevista nel contratto di servizio dell’emittente pubblica, è quella di porsi le domande giuste per capire cosa dovrà fare la RAI del futuro ed è un ufficio attivo nel monitorare la situazione e studiare le nuove sfide che l’emittente di Stato, capofila della tv generalista in Italia (per niente viene chiamata «ammiraglia») deve e dovrà affrontare.

L’Italia però è al ventitreesimo posto in Europa per ‘’diffusione di cultura’’ sui canali radio televisivi di Stato. Peggio di noi soltanto Ungheria, Romania, Portogallo e Cipro. Questa volta però non si parla né di debito pubblico, né di prodotto interno lordo, né di occupazione femminile. La nuova maglia nera, o grigio scura, che si guadagna l’Italia secondo la Commissione Europea è di quelle inattese e riguarda proprio la cultura. Una vera beffa per un Paese che vanta un patrimonio artistico praticamente ovunque e un’eredità storica e culturale da fare invidia a tutti i partner europei.

Quaranta italiani su cento ammettono di non avere toccato il telecomando o acceso la radio nell’ultimo anno e confessano di essersi astenuti perlopiù per mancanza di interesse o tempo (indagine Eurobarometro sulle attitudini degli italiani).

Ottanta su cento non studiano non scrivono, non fotografano, non fanno lavori creativi al computer, non disegnano.

Che resta, allora, se hanno pure rinnegato la tv?

Forse quell’Ufficio RAI-TV deve fare di più? Perché la situazione della «cultura» in Italia e degli italiani va presa seriamente: trasmettere più film di qualità, opere di grande teatro. Tutto cambia alla velocità della luce e questa «emergenza» pone il servizio pubblico davanti ad una seria questione su quello che deve fare ora e in futuro.

La RAI è un bene comune primario. Proprio per questo direi che occorre un grande momento «rifondativo» in cui tutti possano poter dire la loro attraverso una grande consultazione tra cittadini ma anche tra tutti i soggetti come associazionismo, famiglie, imprese, sindacati, scuole di ogni ordine e grado, università, magari organizzata dalla «Commissione di Vigilanza RAI» esistente in Parlamento: un momento di ascolto della collettività nazionale.

Il Servizio Pubblico ha un futuro solo aprendosi senza riserve alla società, con la quale deve rinsaldare il rapporto di vicinanza e legittimazione. Il Servizio Pubblico non può essere stile Netflix. Il futuro della RAI deve essere molto diverso e deve avere fondamenta ben piantate nella tradizione dei migliori Servizi Pubblici europei focalizzati in primo luogo sulla creazione di «coesione sociale» attraverso programmi culturali, programmi di formazione, percorsi pedagogici completi costruiti per fasce di età e un’informazione autorevole e pacata insieme ad una programmazione che unisca il meglio dell’intrattenimento generalista.

Mi si potrebbe obiettare che «servono risorse economiche adeguate». Rispondo che esiste il canone/tassa sull’audiovisuale che sostiene economicamente la RAI, poi il sistema pubblicitario, che ha ottimi introiti, e, non da meno, anche il finanziamento pubblico erogato annualmente dal Parlamento per il sostegno dell’editoria. Forse dovrebbero essere riesaminati i contratti «milionari» di diversi conduttori e evitare di elargire «somme importanti» a partecipanti ad emissioni generaliste televisive e radiofoniche.

Il Servizio Pubblico deve mostrare di essere vicino agli italiani mettendo insieme una serie di programmi dedicati, sparsi tra le tre reti principali (Rai1, Rai2 e Rai3) che garantiscano quegli standard di cultura e autorevolezza propri del servizio pubblico: essere a fianco degli italiani, dare risposta alle loro domande e condividere le loro speranze. Perché la RAI non può essere una rete commerciale. Il ruolo della RAI -Servizio Pubblico non può cambiare.

Marco Affatigato

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Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.