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L’opinione: ILARIA SALIS sono indignato! Si! Ma lo sono ancor più per i detenuti italiani in attesa di giudizio in Italia e per gli Italiani detenuti e dimenticati.

La ́vicenda ́della ́maestra ́Ilaria ́Salis ́ portata ́in ́tribunale ́a ́Budapest ́con ́ “i ferri” alle mani ed ai piedi e la catena per tenerla ha, giustamente, suscitato indignazione. Ma questo non accade solo nell’Ungheria di Orban. Anche in Italia è rituale mettere i ‘’ferri’’ ai polsi, se pur chiamandole ‘’manette’’, e collegare quelle manette ad una catena che viene tenuta dagli agenti della Polizia Penitenziaria che scortano il detenuto. Questo avviene quando il detenuto è portato in Tribunale ma anche quando è portato a ‘’visite esterne al carcere’’, come presso le visite ospedaliere. E, purtroppo, posso dirlo perché involontariamente ne sono stato oggetto. Voi però direte «ma sono manette»… quando ci sono , altrimenti sono ‘’ferri’’ che nel gergo detentivo vengono chiamati ‘’schiavettoni’’ (si può ben comprendere da cosa derivi questa parola). In Italia gli «schiavettoni» erano funzionanti ordinariamente fino al 1997, che vennero sostituiti dalle più ‘’moderne’’ manette.  ́Ma la catena per tenere il detenuto non è stata abolita, salvo non essere utilizzata per semplice decisione del ‘’capo scorta’’. Gli ‘’schiavettoni’’ furono messi in sordina a seguito della ‘’campagna’’ contestataria messa in atto dall’allora PCI , nel 1993-94 , quando il ‘’Compagno G’’  (Primo Greganti) e poi il tesoriere di Forlani , Enzo Carra, fu fotografato e ripreso dalle telecamere televisive, che poi mandarono in onda le seconde e pubblicate sui giornali le prime, con gli ‘’schiavettoni’’ ai polsi e la catenella tenuta dai Carabinieri che lo portavano in aula d’interrogatorio dal Procuratore del Pool Mani Pulite. L’indignazione si sollevò per lui ma era stata sin allora silente per gli altri 40mila detenuti dell’epoca, compreso gli altri politici e industriali di non area PCI. Allora come oggi è la sinistra a promuovere una campagna di indignazione essendo la ́Salis ́un’estremista ́di ́sinistra, ́attenzione attenzione, perché da ‘’antifascista’’ ha creduto legittimo poter aggredire e pestare insieme ad altri un ‘’nazista’’ bulgaro. Della serie, molto spesso applicata in Italia, che ‘’uccidere un fascista non è reato’’.

Ecco allora che sì ́è ́ subito mobilitata la solidarietà con il coro delle accuse per il comportamento “disumano” ́e ́le ́condizioni ́nelle ́carceri ́magiare. ́Il ́caso ́ha ́ovviamente ́preso ́così ́una ́piega tutta politica che di ‘’diritti umani’’ e , in questo caso dei ‘’diritti dei detenuti in attesa di giudizio’’ e quindi non ancora condannati e ritenuti colpevoli.  E , avendo preso la piega politica e così che terminerà.

Io avrei preferito che invece l’indignazione potesse aprire una breccia anche sullo stato di condizione in cui si trovano i detenuti in Italia in attesa di giudizio, privati di tutte le libertà individuali se pur non ancora condannati neanche in primo grado ed esposti al ‘’pubblico ludibrio delle manette (e se non sono disponibili queste degli schiavettoni) ritenute con la ‘’catenella’’ dagli agenti della Polizia Penitenziaria quando vengono ‘’scortati’’ (portati) in Tribunale o all’ospedale. 

Come avrei preferito che l’indignazione per lo stato detentivo della Salis avesse aperto qualche ́interrogativo ́ sulla ́situazione ́di ́tanti ́altri detenuti ́italiani ́all’estero ́di ́cui ́purtroppo ́si ́sa ́poco ́o ́quasi nulla se non proprio nulla dal ́ Ruanda ́ al ́ Venezuela, ́ dall’India ́all’ ́Egitto ́o ́nei ́penitenziari ́ USA, ́passando ́da ́quelli ́bielorussi ́alla ́ Turchia. ́Nessuno per loro si indigna perché non fanno notizia, non vanno sui giornali malgrado che sopravvivono in condizioni disumane, spesso senza poter avvisare nessuno (neanche l’Ambasciata o il Consolato) e in balia di ‘’favori’’ ottenuti se riesci a pagare i funzionari corrotti.

Purtroppo, ́– ́questa ́tematica ́è ́ai ́margini ́ delle ́ attenzioni ́ diplomatiche ́ e ́ lasciata ́ spesso alla sensibilità personale dei nostri funzionari ́all’estero. ́D’altronde ́se ́sei ́incarcerato in un Paese africano passano a volte dei mesi prima che qualcuno sappia di te e ben raramente – e comunque dopo tempi infiniti – un nostro forse console passerà a trovarti, ́anche ́perché ́(ma ́questo ́non ́lo ́sa ́ quasi ́nessuno) ́ in ́moltissimi ́paesi ́del ́ mondo non ci sono nostre ambasciate o consolati, ma al più solo ‘’consoli onorari’ ’che ́si ́occupano ́di ́tutt’altro ́e ́non ́hanno ́ ovviamente una immunità diplomatica. Ma questo non riguarda solo l’Africa o i paesi arabi o asiatici. Questo accade anche in Europa. Gli italiani che finiscono nelle carceri francesi, spagnole, greche, tedesche e pure nelle ‘’civili prigioni svizzere’’ (dove il lavoro è obbligatorio e pagato con il salario ufficiale – e qui si potrebbe aprire un altro capitolo) non sempre hanno la fortuna che il consolato o l’ambasciata italiana si interesse del loro stato (e non possono neanche dire che ‘’non sapevano’’ perché ricevono la comunicazione ufficiale dello stato detentivo).

Sono ́oltre ́un ́migliaio ́gli ́italiani ́detenuti ́ al ́di ́fuori ́dell’UE. Ma a differenza dei detenuti italiani nei Paesi UE, ́per quelli al di fuori dell’UE la notifica ́di ́ detenzione ́alle ́nostre ́autorità ́viene ́rallentata ́dagli ́oscuri ́meandri ́della ́burocrazia ́– che spesso in Africa e in Asia ha tempi ben peggiori ́dei ́nostri ́– ́e oltre ́alle ́consuete ́violenze ́ fisiche spesso ́ti ́ritrovi ́senza ́soldi, ́senza ́collegamenti, ́addirittura senza ́difesa. Neppure ́i ́tuoi familiari possono sapere che ́sei ́in ́galera ́ ed è ́impossibile ́perfino ́collegarsi ́con ́ l’esterno ́per ́ chiedere ́aiuto.

 ́In ́Egitto ́sono ́normali ́celle ́con ́50-60 ́detenuti, ́in ́Venezuela ́ i ́penitenziari ́sono ́appunto ́di ́fatto ́controllati dalle bande interne, mentre vi sconsiglio, per quanto mi è stato raccontato, la detenzione in un carcere indiano, pakistano, thailandese. Altro che garanzie ́o ́assistenza ́diplomatica: ́nulla ́neppure ́l’acqua ́corrente. L’iniquità, ́le ́violenze ́e ́la ́corruzione ́sono ́ poi ́di ́solito ́endemiche ́e ́più ́è ́basso ́il ́livello di vita di un Paese più i detenuti sono considerati ́la ́feccia ́umana ́su ́cui ́tutto ́è ́ permesso. ́Ma questo forse è quello che pensiamo anche in Italia. Certo poi, ́se ́sei ́’’ricco’’ ́e ́ti puoi permettere di avere soldi in contanti in quei Paesi , in Africa e in Asia, puoi ́ pagarti  un po’ di benessere carcerario grazie alla corruzione imperante.  Spesso, ́soprattutto ́in ́Africa ́e ́America ́ Latina, ́lo ́straniero ́è ́tra ́l’altro ́accusato ́e ́ incarcerato ́senza ́alcuna ́colpa, ́ma ́solo ́per ́ un ricatto economico in vista di una “mancia” ai giudici o ai secondini e così resti detenuto finché la famiglia non paga un vero e proprio riscatto, di solito attraverso avvocati corrotti più dei giudici e che hanno ́tutto ́l’interesse ́affinché ́il ́cliente ́resti ́a ́ lungo nel bisogno.

Forse ci si immagina che un italiano detenuto sia in qualche modo aiutato e protetto dall’Ambasciata italiana, ma pochi sanno come ́siano ́minime ́le ́nostre ́presenze ́diplomatiche “sul campo” e spesso passano settimane e mesi prima che l’ambasciata ́italiana abbia conoscenza o sia informata dell’avvenuto ́ arresto ́di ́un ́connazionale ́che ́nel ́frattempo ́è ́carne ́da ́macello, ́purtroppo ́spesso ́in ́ tutti i sensi. Se poi pensiamo all’Africa dove non le nostre Ambasciate non coprono neanche tutti gli Stati con la presenza e dove , spesso, una nostra «ambasciata-tipo» ́ da ́quelle ́parti ́ha ́solo ́due ́diplomatici ́(di ́ solito ́l’ambasciatore ́ed ́un ́suo ́giovane ́ vice) ́e ́deve ́coprire ́molti ́Paesi ́contemporaneamente, difficile che almeno il “vice” possa arrivare a visitare un italiano detenuto, magari in un piccolo carcere di provincia a centinaia o migliaia di chilometri dalla nostra più vicina sede diplomatica come per esempio il Madagascar , paese ́in ́cui ́la ́nostra ́ambasciata ́è ́stata ́ chiusa ́dipendendo ́ora ́da ́Pretoria, ́in ́Sudafrica, che contemporaneamente “copre” sette diversi Paesi in tutto il sud del continente, o come ́ quelle in altri Paesi, hanno spesso portato a proteste ́dei familiari dei detenuti italiani abbandonati. Proteste finite in un fascicolo e archiviate al ministero degli Esteri. Proteste non interessanti per giornali e radio televisioni. Proteste che non fanno scattare indignazioni parlamentari. Cosi da rimanere italiani detenuti all’estero di ́cui ́si ́sa ́ poco o forse nulla, perché non vanno sui giornali, ma la cui loro scomparsa ha sconvolto le vite di molte famiglie prima e poi anche dopo quando hanno scoperto, spesso dopo lungo tempo, che il loro familiare scomparso ́era ́semplicemente ́detenuto in un Paese estero,  ́iniziando così un vero e proprio calvario per cercare di liberarlo e riportarlo in Italia e magari in Italia processarlo per il reato commesso all’estero (art.9 del Codice Penale italiano e artt.7 e 8 : estensione della giurisdizione italiana , punisce il cittadino che ha commesso in territorio estero un reato per il quale la legge italiana preveda la pena dell’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.