Un approfondimento su certi temi è di competenza degli storici. Noi, da persone della strada, ci limitiamo a mettere insieme ricordi, letture, qualche paradosso utile alla comprensione, qualche provocazione.
Mettiamo di appartenere al mainstream della media borghesia che ha attraversato un po’ di fascismo, la guerra, il dopoguerra; di appartenere a quella folla che osserva, prova a capire, poi dice “mah” e se ne va a dormire.
Anche un attore molto amato come Alberto Sordi rimpiangeva il ventennio: lui, figlio di un maestro orchestrale, ne rammentava l’atmosfera – romana significativamente – di trionfo delle arti, di rinnovo estetico grazie all’affermarsi dell’architettura moderna, il sogno coloniale, la pace sociale che per un poco fu assicurata: ricordiamoci dei tumulti di inizio secolo, del terrore dei bolscevichi, di tutto ciò che ancora spaventava gli amanti del quieto vivere.
Orbene, in quest’ottica, e solo in questa, inquadriamo i personaggi con altri riflettori, come in un gioco teatrale, una pièce, della serie “sliding doors”: pensate se invece fosse andata così.
Galeazzo Ciano, da Livorno, appartenente a nobile famiglia, fece breccia nella rude, androgina e nottambula Edda e riuscì a sposarla, con l’approvazione dell’ingombrante suocero; accompagnato invece dallo scettico sorriso dell’ “ardzora” Rachele, che diffidava della tenuta matrimoniale della figlia.
Si trattò infatti di un connubio poco riuscito, benché allietato da tre figli; coronato da disgrazie familiari anche successive alla morte del capofamiglia e al conflitto; di un ménage “aperto”, più degno di una coppia di amici un po’ complici e un po’ in competizione, che di coniugi affiatati.
Pagato questo tributo al gossip d’annata, basato peraltro sulle sole interviste alla vedova in tempi di bilanci esistenziali, va rilevato che Ciano rappresentava un uomo politico eccentrico per i tempi.
Di bell’aspetto e buoni modi, brillante, tombeur de femmes, poliglotta, occidentalista convinto, era un frutto del suo ambiente: dunque ben figurava nella carriera diplomatica che, all’inizio della sua attività di “primo genero,” gli fu assegnata.
Non pensiamo simpatizzasse per la sinistra, ma che avesse un debole per gli USA moderatamente liberal, sì. Si tenne in equilibrio e per anni la sua tattica funzionò. Quando la situazione precipitò, il suo gioco iniziò a scricchiolare.
Per i tedeschi Ciano era un vanesio tossicodipendente adatto al massimo ai balli di società, considerato ambiguo e poco risoluto; egli si fidò di amici improbabili alla Pavolini e si ritrovò solo quando avrebbe avuto bisogno d’aiuto.
Tradì? Al duce doveva molto, ma contribuì a defenestrarlo, peraltro quando la sorte del suocero era ormai segnata: la pagò troppo cara?
Anche Churchill è bollato di doppiogiochismo, e dopo la guerra perse le elezioni, ma infine è celebrato come un eroe della pace; Francisco Franco è morto nel suo letto, come Pinochet, Peròn, e altri conducator che Europa e USA hanno blandito in tempi di guerra fredda. E’ ipotizzabile che Galeazzo Ciano, con il suo indubbio fascino e una allure internazionale, non avrebbe sfigurato nel traghettare l’Italia in una prospettiva atlantista.
Tuttavia barcamenarsi è sempre rischioso ed è ciò che l’Italia fa ancora oggi: rischiando di perdere da ogni versante.
Carmen Gueye