La notizia giunge come un fulmine a ciel sereno: Cesare Battisti, ex terrorista dei Proletari armati per il Comunismo, con molta probabilità sarà espulso dal Brasile, e le destinazioni più probabili saranno la Francia o il Messico. Così ha deciso la giudice federale brasiliana de Abreu, che ha annullato il visto di residenza dell’ex terrorista rosso e ha sollecitato il governo a verificare la possibilità di consegnarlo nelle mani delle autorità dei Paesi in cui si era stabilito dopo la rocambolesca fuga dall’Italia. In tal modo, sembra essere invalidato l’atto col quale il precedente presidente del Brasile, Luis Inacio Lula da Silva, aveva concesso a Battisti lo status di rifugiato politico e respinto la richiesta di estradizione giunta dall’Italia: era il 2009.
Al momento, non c’è ancora un termine preciso per l’espulsione: gli avvocati di Battisti, Tamasauskas e Bottini, hanno la possibilità di ricorrere fino al Tribunale supremo, con l’animo battagliero di chi vede il proprio assistito perseguitato da una troppo zelante giustizia e di chi si era fatto scudo di un decreto presidenziale, e in quanto tale sacro e inviolabile. La domanda di estradizione giunta dall’Italia fu rigettata sempre nel 2009 dallo stoico ex ministro della Giustizia, Genro, che generò una dura polemica basando la sua decisione sulla paura di una possibile persecuzione in Italia di Battisti per la sua ideologia politica. Sono ormai passati sei anni, quasi in silenzio, e ogni tanto un subitaneo bagliore accendeva i riflettori sulla vicenda, non certo semplice, e l’interesse delle persone, che a gran voce chiedevano il ritorno di Battisti in Italia.
Condannato in contumacia a due ergastoli per quattro omicidi avvenuti durante i torbidi “anni di piombo”, Battisti nel frattempo trascorreva insieme alla moglie una vita tranquilla nel paese sudamericano, concedendo interviste e difendendo le sue ragioni, ottenendo che una parte dell’opinione pubblica brasiliana (e non solo) si schierasse dalla sua parte. Oltre a questo, sono quattro i punti fondamentali che, simpatizzanti e difensori d’ufficio a vario titolo, usano per difendere Battisti: un’istruttoria che viene da confessioni estorte con modi violenti; testimonianze di elementi incapaci per età e mentalmente; una sentenza fin troppo dura; un aggravamento della suddetta causata dal tardivo arrivo di un “pentito” (Mutti) che elencava contraddittorie accuse sempre più gravi e generalizzate.
Contraddizioni che sembrano non esserci nel ragionamento della giudice brasiliana, che afferma che il visto di Battisti è irregolare, e che essendo un cittadino straniero condannato nel suo Paese d’origine per crimini, non può restare più in Brasile. Gli istituti di espulsione ed estradizione sono diversi, e ciò non contraddice in alcun modo la precedente azione di Lula. In questi casi, quando in gioco vi sono più parti molto distanti tra loro, nulla è certo, e lontano dagli schiamazzi della piazza si lavora a colpi di carte bollate e notifiche. I tempi, di per sé già lunghi, rischiano di dilatarsi ancora di più: la giustizia, tanto invocata quanto urlata, è ancora lontana dal vedersi.
Nessuno, naturalmente, vuole una caccia all’uomo senza basi giuridiche: ma tanto più si aspetta, tanto meno i parenti delle vittime saranno risarciti. Uno di questi, Torregiani, figlio del gioielliere ucciso nel 1979, chiede attenzione all’attuale governo affinché la vicenda abbia il suo giusto epilogo, affinché venga dimostrato con chiarezza che la legge è uguale per tutti.
L’Italia, nel frattempo, ha già spalancato braccia e carceri per accoglierlo calorosamente. Molti partiti twittano regolarmente chiedendo un giusto processo e un’equa sentenza: ma nessuno deve dimenticare che su Battisti si è aperto un indegno e grottesco baraccone, dove egli si è crogiolato beato, fatto da politicanti e intellettualoidi che hanno proclamato e asserito l’innocenza dell’ex terrorista, riservandogli un trattamento umano e decoroso che una persona del suo livello, un assassino senza scrupoli, certo non meriterebbe.
di Pasquale Narciso