Si può notare, in questi tempi schiodati, come sempre più spesso locuzioni appartenenti al passato siano riesumate per definire un aspetto del presente. Ad esempio, la politica: “caudillo”, “delfino”, “giovani turchi” sono espressioni utilizzate più e più volte che, per analogia, rimandano a famosi avvenimenti, politiche, azioni, posizioni, personalità della storia politica passata.
“Giovani Turchi” è un’espressione pregnante: oggi è utilizzato per indicare una minoranza che vuole ribaltare ciò che considera vetusto e inefficiente. In questo vi è il ricordo dell’impeto propositivo e modernizzatore del movimento turco delle origini, che affonda le sue radici in un impero multietnico ma inefficiente, purtuttavia è una definizione che, come le altre, va maneggiata attentamente.
Questo è quanto che Erdogan, leader della Turchia, sta scoprendo e fronteggiando, giacché le migliaia di auto per Ankara con i conducenti con la mano sul clacson, bandiere turche e ritratti di Mustafah Kemal Ataturk hanno ben poco a che fare con la protezione di un parco e molto a che vedere con la difesa dalla selvaggia urbanizzazione e con l’abiura del lascito del capostipite della Turchia moderna.
Un vanto di quest’eredità è la laicità dello Stato. La laicità turca è di solito elogiata, spesso a ragione, diversamente dalle idee religiose della politica e della società. Ma l’ambiente in cui si è inserito è totalmente diverso da quello occidentale.
In Turchia non si tratta di separare la sfera politica da quella religiosa, ma di portare la seconda sotto la tutela della prima, con la singolarità di un’autorità laica che sorveglia e disciplina ciò che riguarda la fede religiosa.
Tutto questo però ha portato a una deriva: l’asservimento della religione al controllo dello Stato ha incredibilmente provocato una nuova forma di unione tra i due ambiti. Le elezioni del 2002 vinte dall’AKP, il partito di Erdogan, sono per questo un momento importantissimo nella recente storia della Turchia.
Se da un lato la classe dirigente ha portato a risultati estremi l’occidentalizzazione del paese – soprattutto per la produzione capitalistica e la società dei consumi – dall’altro, a causa delle sue radici confessionali, ha ancor di più rinsaldato l’assimilazione fra la Turchia e il sunnismo.
L’europeizzazione e la modernizzazione della Turchia sono andate d’accordo con l’identificazione della nazionalità turca con l’Islam sunnita. Erdogan, infatti, desidererebbe ritornare a una Turchia islamizzata, con la leadership in Medioriente, una potenza regionale come in passato lo era l’impero ottomano.
Ma il passato mostra come in questo impero tante etnie e religioni diverse potessero convivere concordemente. Erdogan si mostra più simile a quell’autoritarismo accentratore che i Giovani Turchi applicarono con furore quando, dalle Guerre balcaniche alla fine della Grande Guerra, l’impero ottomano fu smembrato.
Fu questa la loro reazione di fronte alle ruberie occidentali; conseguenza di ciò fu l’imboccare la strada di un acceso nazionalismo, che non guardava di buon occhio gli stranieri e le minoranze. Di qui all’eccidio armeno il passo fu breve.
Nazionalismo che Erdogan sta cercando di far riviere, col fortissimo controllo sui giornali e con giornalisti e generali dell’esercito finiti in prigione perché critici riguardo la sua politica o ritenuti di responsabili di complotti per colpi di Stato. L’esercito si è sempre ritenuto difensore dello stato laico eretto da Ataturk ed è spesso intervenuto nella politica del paese.
Ataturk è considerato oggi più che mai un grande leader che ha portato la Turchia da posizioni arretrate e autoritarie verso una modernità fatta di democrazia, laicità e crescita economica. A sua volta, Ataturk prese dai Giovani Turchi la sostituzione della shar’a con la legge civile, il divieto della poligamia e l’emancipazione della donna.
Si capisce quindi che, pur tra luci ed ombre, questo movimento politico ebbe una sua importanza nel passato e ritorni sempre più in auge nel presente. I giovani turchi di oggi sono studenti, borghesi di tutte l’età ed etnie, che vogliono evitare che Erdogan diventi un nuovo “sultano”, un autocrate che decide destini collettivi ed individuali (destano scalpore le affermazioni sulla maternità e l’aborto).
L’altro pericolo è la riunione fra Stato e religione: ecco perché queste persone protestano, per non riportare le lancette dell’orologio ad un passato dove l’opulenza gronda sangue, dove l’identità propria non è necessariamente derivante dallo schiacciare i diritti di tutti.
Pasquale Narciso