Steve McQueen ritorna al cinema: il 9, 10 e 11 novembre uscirà nelle sale italiane un documentario, intitolato Steve McQueen: una vita spericolata, che racconta e svela inediti dettagli sul suo più importante film, Le 24 Ore di Le Mans.
Per chi è rimasto affascinato da quest’icona del cinema anni ’60 e ’70, dal suo carisma e dal suo charme e non vuole attendere novembre, I Wonder Pictures organizzerà delle anteprime per il pubblico il 26 ottobre (a Bologna, al Biografilm Festival) e il 27 (a Roma e a Milano).
Il documentario, firmato dai registi Gabriel Clarke e John McKenna, è stato recentemente presentato al Festival del Cinema di Cannes e vuole ripercorrere la tormentata gestazione del film che, nel bene e nel male, ha segnato una tappa importante nella carriera di McQueen.
L’attore americano, grande appassionato di velocità e automobili, volle trasfondere questa sua passione nel più ambizioso film sulle corse automobilistiche che sia mai stato ideato, prodotto e girato. Le 24 Ore di Le Mans si pose l’obiettivo di raccontare, dal punto di vista del pilota, la celebre gara automobilistica che si svolge annualmente al Circuit de la Sarthe a Le Mans, appunto.
Lungi dall’essere un semplice documentario, McQueen volle andare oltre: proprio dalla sua fortissima volontà di partecipare alla corsa nacque nel 1971 Le 24 Ore di Le Mans, film girato nel circuito della gara nel 1970, con una telecamera posta su un’auto iscritta regolarmente alla competizione. Memorabili i primi venti muti del film, con una Porsche 911 S che fa la sua maestosa apparizione.
Un rapporto viscerale quello di McQueen col mondo automobilistico, e da qui nacque l’idea sul film definitivo sulla vita del pilota, in quotidiano contatto con rischi e pericoli di ogni sorta. Purtroppo per l’attore, l’idea restò quasi lettera morta: fin dal primo momento il film vagò senza una meta precisa e ciò costrinse ad allungare notevolmente i tempi e a sperperare una gran quantità di danaro.
Le 24 Ore di Le Mans congiungeva un budget faraonico, scelte strabilianti come l’affitto trimestrale del circuito francese e di un castello per ospitare la troupe, 45 piloti di fama internazionale, un’adesione alla realtà agli estremi della sicurezza personale nelle riprese in pista, un’irreparabile lite tra John Sturges (regista de I magnifici sette, poi rimpiazzato da Lee H. Katzin) e lo stesso McQueen.
Giorno dopo giorno i piloti ingaggiati rischiarono la vita e uno di essi, David Piper, perse una gambaper un incidente evitabile occorsogli durante le riprese. McQueen, intanto, era l’uomo solo al comando che ogni giorno, prima delle riprese, ripeteva devotamente il suo credo: “Io decido cosa è giusto e sbagliato. Io stabilisco le regole, io decido”.
Al centro di Steve McQueen: una vita spericolata vi sarà proprio questo, l’analisi da parte di McKenna e Clarke di come la lavorazione a quel film abbia cambiato McQueen nel rapporto con sé stesso e gli altri. Le auto sono presenti, ma sono il rombante sfondo all’uomo, ai rapporti con la moglie(che dopo l’uscita di Le 24 Ore di Le Mans lo lasciò) e col produttore Relyea.
La sfida dei due registi è stata quella di calibrare in maniera paritaria l’attenzione fra un periodo della sua vita molto difficile, fra donne, droghe e alcool, e la vicenda di Le Mans. Chi meglio di Chad McQueen, figlio di Steve, può aiutare in quest’impresa?
All’epoca del film Chad aveva 10 anni e la situazione familiari non era delle più rosee: stare sul circuito di Le Mans era per lui una sorta di protezione e vivere in prima persona, con gli occhi di un bambino, un rombante paesi dei balocchi. Insieme alle testimonianze dei piloti e degli assistenti di produzione, Chad contribuisce a rendere ancora più speciale ed eterno la figura del padre Steve, che mise tutto sé stesso in Le Mans.
Come spesso è capitato ad altri film, anche Le Mans ha raggiunto una gloria tardiva, un’ammirazione postuma allo stesso McQueen (morto nel 1980) e un rispetto che lo rende un cult irraggiungibile nella sua categoria. Quello che non ottenne al botteghino all’uscita, Le Mans l’ha guadagnato dopo, e Le 24 Ore di Le Mans gli offre il giusto tributo.
Pasquale Narciso