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Esteri

Palmira: cartoline dall’Inferno

Molti sostengono che il continuo bombardamento mediatico della violenza ci abbia reso insensibilialla suddetta: ogni nuovo fatto di cronaca misura la sua importanza sull’indignazione popolare, tenuta accesa dal mantice dei media che soffia finché poi tutto si assopisce. Qualche volta capita anche di domandarsi che cosa sia successo ai soggetti o agli enti coinvolti in questi casi.
In mancanza della copertura mediatica, vien da pensare che tutti si siano fermati e che la telecamera, prima registrante senza sosta, ora è impegnata a sfamare l’ennesimo morboso interesse che la gente pretende e vuole ottenere da quei fatti. Non ci si stupisce (quasi) più di nulla: finché non capita al diretto interessato, si può stare tranquilli.
Sembra che nulla possa scuotere un certo torpore che ha preso tutti noi, intesi come folla che, nei Promessi Sposi, è costituita da chi non ha un’idea precisa di cosa stia accadendo ed è roso dal solo desiderio di provare emozioni forti; è una massa amorfa, inanimata, mossa dalla volontà di sopravvivenza: è una cosa.
L’interesse, quindi, per i fatti di cronaca è suscettibile di focalizzarsi su un qualcosa che assurge rapidamente lo status di simbolo, che trascina tale massa dove più gli aggrada. Prendiamo Palmira, città della Siria che è ribalzata agli onori e orrori della cronaca: una città che, dal maggio 2015 fino al marzo 2016, è stata squassata dai miliziani dell’ISIS, fermi nel loro folle proposito di estendere lo Stato Islamico fino ai limiti dell’orbe terracqueo.
Vi sono le foto e i deliranti filmati dei loro soprusi ed eccidi, vi sono le rovine e le macerie di ciò che hanno distrutto a Palmira. Ma cosa hanno distrutto, facendo esplodere due templi (Bel e Baal Shamin), un arco trionfale e una decina di tombe antiche? Opere d’artereperti archeologicimusei: il campionario che l’uomo, pur transeunte, ha lasciato in quell’angolo della Siria nel corso dei secoli e che ha quasi cessato di esistere.
Palmira è il simbolo di cui si parlava prima: martoriata da una guerra che è un guazzabuglio geo-politico, ha dovuto attendere un anno per ritornare a vivere, ad una tranquillità pagata col sangue dei locali. Un’oasi nel deserto siriano, patrimonio UNESCO, depredato e divelto dagli jihadisti del Califfato che hanno bivaccato nell’antichissima città per dieci mesi.
Già si ha qualche cenno di reperti passati in mani europee, ma quelle stesse rovine su cui gli jihadisti hanno massacrato e decapitato, sono rimaste quasi intatte: l’Agorà, il teatro romano, le mura delle città. Il fanatismo dell’ISIS ha cancellato per metà, nel nome di un odio verso le altrui culture, un’idea che Palmira ha rappresentato, nel suo angolo di mondo, per secoli: crocevia di religioniculturecommerciarti, quattro pietre miliari che definiscono ogni società umana.
In fin dei conti, non poteva essere diversamente: principale via di commercio tra PersiaIndiaCina e l’Impero romano, Palmira crebbe da piccolo villaggio povero e ignoto fino alla più alta vetta di lussureggiante capitale di un Regno che si fece gendarme contro il pericolo sasanide.
Gli Assiri, nel XIX secolo a.C., avevano già conoscenza di Palmira, ai tempi nota col nome di Tadmor, che in aramaico significa “palma”. Passano millenni, Palmira ritorna nelle cronache quando la dinastia ellenistica dei Seleucidi la inglobò nel suo regno. Nonostante questo, il fiorire dei commerci mantenne la città in una situazione di semi-indipendenza, tale che quando il romano Marco Antoniovolle conquistarla, non vi riuscì.
Nel 19 d.C. il princeps Tiberio annesse ufficialmente Palmira alla provincia di Siria; l’anarchia militareche coinvolse nel III secolo d.C. l’Impero romano privò tante regioni e città di una guida sicura, essendo i tanti imperatori succedutisi perennemente in combattimento.
Qui arrivano le figure di Odenato e Zenobia: il primo, dux romanorum e re dei re con Gallieno, respinse i baldanzosi Sasanidi (che attaccavano la Siria); la seconda si sostituì a suo marito facendolo uccidereinsieme a suo figlio Hairan e prese il potere coll’ambizioso sogno di creare un impero d’Oriente da affiancare a Roma.
Per un po’ le cose arrisero a Zenobia: la regina, con parte dell’esercito, puntando sulle difficoltà degli imperatori romani, conquistò le province romane di ArabiaPalestina ed EgittoCappadocia e Bitinia. Ma, alla fine, Zenobia caddenon risorse e giacque: nel 272 l’imperatore Aureliano sconfisse l’esercito palmireno, catturando anche la regina in fuga verso la Persia.
Palmira provò tutto: la gloria maggior dopo il pericolo, l’espansione e la vittoria, le ricchezze e il tristo declino. Due volte nella polvere, Due volte sull’altar.
Pasquale Narciso