“Questo è il momento di riunirci, di cicatrizzare le ferite di questa campagna elettorale. Lancio un appello: vi prometto di essere il Presidente di tutti gli americani. Ai pochi che non mi hanno sostenuto offro un ramoscello di ulivo… La nostra non è stata una campagna, ma un movimento che vuole un’America più rosea e migliore. Dobbiamo lavorare insieme e così rinnoveremo il sogno americano”, sono state queste le prime parole pronunciate dal nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
L’imprenditore statunitense è riuscito, nonostante l’ostruzionismo “dell’apparato”, a vincere in una campagna elettorale che ha qualcosa di storico. Trump ha iniziato la sua campagna come “Candidato beffa”, ha – nonostante ciò – stravinto le primarie dei Repubblicani e infine ha sconfitto una delle donne più potenti degli Stati Uniti.
“Questa è una notte storica, il popolo americano si è espresso e ha eletto il suo nuovo campione. Gli Stati Uniti hanno eletto il loro 45esimo presidente della storia e io sono onorato di prestare il mio lavoro – assieme alla mia famiglia – come vicepresidente”, sono queste le parole pronunciate da Mike Pence, nuovo vicepresidente degli USA.
La vittoria di Trump è la vittoria anche negli Stati Uniti di quel movimento che viene chiamato, con senso dispregiativo, populismo. Un pensiero e un modo di intendere la politica che esce fuori dai rigidi schemi imposti dal politicamente corretto. Il populismo è ritornato in auge in Austria nei primi anni novanta con Hayder, si è poi diffuso in Francia e nel Regno Unito. Nel 2013 l’affermazione di un partito populista in Italia, ovvero il M5S, che ha ottenuto la maggioranza dei consensi a livello di singolo partito. Il 2014 è stata la riaffermazione, poi, dei partiti populisti in Europa con la vittoria di Marine Le Pen in Francia e dell’UKIP nel Regno Unito.