Ieri pomeriggio in Campidoglio si è tenuto (causa malore, senza il sindaco Virginia Raggi) l’incontro presumibilmente decisivo riguardo la costruzione dello stadio di proprietà dell’A.S. Roma, che secondo le indiscrezioni circolate diversi anni fa dovrebbe essere intitolato allo storico presidente Franco Sensi, scomparso 9 anni fa.
Il braccio di ferro tra la società e il CONI (attuale proprietario dello Stadio Olimpico) si basa sul fatto che, con la costruzione di uno stadio di proprietà, gli incassi della Roma non sarebbero più voci in entrata nel bilancio della massima organizzazione sportiva italiana. Inoltre la paura del comune è quella di trovarsi, prima o poi, con un altro stadio come il Flaminio, ad oggi praticamente abbandonato a se stesso, diventando così un’immagine del degrado (anche sportivo) della città della Lupa.
Obiezioni legittime, ma che non dovrebbero avere la meglio, dal momento che lo stadio di proprietà può apportare enormi vantaggi non solo alla squadra, ma anche alla città: anzitutto, lo stadio della Roma sarebbe il terzo di proprietà in Italia, dopo lo Juventus Stadium e il Mapei Stadium, casa del Sassuolo.
Basta una breve ricerca per vedere quanto gli incassi dello stadio abbiano favorito l’ascesa delle due squadre, di cui una domina il campionato ininterrottamente dal 2012, mentre l’altra si è qualificata all’Europa League lo scorso maggio, dopo appena 3 partecipazioni alla Serie A. Certamente il merito va attribuito soprattutto da due società molto capaci e competenti, oltre che a degli organici di qualità, ma non si può non tenere conto della forte voce positiva nel bilancio proveniente dallo stadio.
Proprio da questo grande vantaggio, nasce l’aspetto positivo per la città: una squadra come la Roma, tradizionalmente considerata tra le grandi del nostro campionato, con un incentivo del genere sarebbe costantemente in lotta non solo per il titolo, ma per qualche ambizione in termine di coppe europee; e questo significa più probabilità di vedere tifosi stranieri in viaggio a Roma, abbinando magari un weekend a una partita, favorendo così la vocazione turistica della Città Eterna.
Il rischio, poi, che lo Stadio Olimpico diventi una “cattedrale nel deserto” è molto basso, dal momento che potrebbe avere lo stesso uso dello stadio di Wembley a Londra, casa base della nazionale inglese e utilizzato per ospitare annualmente la finale di F.A. Cup, la coppa nazionale. Uno stadio quindi a vocazione nazionale, lasciando alle squadre una propria casa, dove poter ospitare liberamente simboli e stemmi. Senza contare che, con la costruzione di nuovi stadi, le probabilità di ospitare un europeo o un mondiale di calcio aumenterebbero esponenzialmente, con l’annesso afflusso sia di turisti/tifosi sia di finanziamenti da parte della FIFA che ciò comporta.
Inoltre, lo stadio Olimpico “svuotato” della Roma potrebbe diventare più facilmente, specie nella stagione primaverile, il palcoscenico migliore per i grandi concerti; su questo, la città di Roma dovrebbe lavorare molto, dal momento che nel 2015 solo uno dei dieci concerti con più spettatori si è svolto nello Stadio Olimpico (per l’esattezza, si tratta della performance di Jovanotti tenutasi il 12 Luglio). Per fare un breve raffronto, durante la stagione 2015-2016, lo stadio milanese di San Siro ha incassato per l’affitto dello stadio a società differenti da Milan e Inter quasi 7 milioni di euro, circa il triplo rispetto alla stagione precedente. E ciò ospitando concerti internazionali e soprattutto la finale di Champions League.
Dopo la delusione per la mancata candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, quella dello Stadio “Franco Sensi” potrebbe essere l’occasione del riscatto dell’amministrazione romana nei confronti del mondo dello sport, che non potrà che giovare da nuovi stadi che seguano il modello inglese.
Riccardo Ficara