In 10.000 al pranzo multietnico. Tavolata record al parco Sempione. Tutti insieme «senza muri». L’enfasi con cui si cerca di presentare l’evento di ieri a Milano, alla presenza di Beppe Sala, Roberto Saviano e del cardinale Mario Delpini, dimostra un fatto: a sinistra non hanno capito niente.
Non perché ci sia qualcosa di sbagliato nell’offrire un pasto a degli immigrati, molti dei quali ieri fra l’altro erano accorsi lì proprio per quello – «Qui mangiamo gratis», si sono sentiti dire dei giornalisti -, ma perché la crisi del fronte progressista nasce proprio dalla distanza dal popolo e dal suo esotismo ideologico.
Del resto, la sinistra bastonata alle elezioni del 4 marzo, non è forse quella che fino all’ultimo ha provato a far passare lo Ius soli, quella delle Boldrini e dell’accoglienza benedicente delle «risorse»? E allora che senso ha, per un’area politica divenuta minoranza, continuare ostinatamente a restare innamorata delle minoranze, siano essi i Rom o i richiedenti asilo? E soprattutto: perché, per opporsi al governo Conte, a sinistra non convocano manifestazioni nei quartieri popolari o in qualche zona industriale? La risposta a quest’ultima domanda è fin troppo semplice: perché verrebbero presi a male parole, se non direttamente a pedate nel sedere.
Il che per me, che non voterei progressista manco sotto tortura, va benissimo, ci mancherebbe. Dato però che anche a sinistra ci sono persone in gamba ed intelligenti, mi rivolgo a loro con un consiglio non richiesto ma sincero: lasciate perdere la solfa dell’antirazzismo. Basta. Emancipatevi dalla retorica del vittimismo. Abbandonate il verbo mondialista e tornate ad occuparvi degli italiani, senza la pretesa di riconoscerne di «nuovi» per riconquistare artificiosamente l’elettorato perduto.
Lasciate insomma da parte l’agenda di Soros, e risalite di corsa sul trattore di Peppone. Fatelo al più presto, altrimenti vi conviene davvero cercarvi un attico a New York come Saviano, che ormai se ne intende.
Giuliano Guzzo