Mancano ormai poche ore alla finale della Coppa del Mondo, che vedrà la Francia di Mbappé, Pogba e Griezmann sfidare la Croazia di Modric, Rakitic e Mandzukic. Due squadre che hanno fatto della qualità e della classe il loro cavallo di battaglia e solo il campo stabilirà quale di queste merita di restare incisa nella storia del calcio.
Probabilmente per antipatia congenita degli italiani verso i francesi, non si sente altro che la parola Croazia tra i calciofili – e non – italiani, già intenti a tifare per i dirimpettai adriatici. Qualcuno piuttosto che “tifare per” ha deciso di “gufare contro” la Francia, diventando nell’ordine prima argentino, poi uruguayano, successivamente belga e adesso croato.
Ma se si può tifare Croazia per tanti motivi, una persona di destra dovrebbe necessariamente tifare Croazia e avrebbe dovuto farlo fin dal fischio d’inizio di tutto il mondiale di Russia.
I motivi sono presto detti e sono tutto fuorché razziali: chiunque dovesse tifare Croazia perché “unica nazionale composta da soli bianchi” non terrebbe probabilmente in conto il fatto che la Croazia, avendo appena 27 anni di vita, non ha mai neanche lontanamente vissuto i processi di colonizzazione prima e di immigrazione poi degli altri paesi europei, come ad esempio l’altra finalista francese.
Le ragioni per cui la destra dovrebbe tifare Croazia affondano piuttosto nel passato: tralasciando il pur non indifferente dettaglio dell’appartenenza territoriale odierna di Fiume, Istria e Dalmazia, bisogna infatti ricordare che la spinta tesa alla disgregazione della Jugoslavia venne dallo Hrvatska Demokratska Zajednica, o HDZ, un partito anticomunista guidato da Franjo Tudman.
Tudman – che poi sarebbe diventato il primo Presidente della Croazia – prese delle posizioni molto particolari e tendenti a un certo tipo di destra, incarnato negli anni precedenti dall’Ustascia, il movimento ribelle croato che aveva come obiettivo la lotta contro i serbi, l’etnia dominante all’interno del Regno di Jugoslavia. L’Ustascia era spinta, come molti movimenti di destra del tempo, da un fervente spirito fascista, col sogno di una Nazione croata che respingesse l’etnia serba dominante.
Cenni storici a parte, negli ultimi anni i croati hanno dato spesso esempi di un sentimento nazionalista duro a morire. Nel 2013 ad esempio Josip Simunic, croato nato in Australia da genitori esuli dalla Bosnia musulmana – salito alla ribalta del mondiale 2006 per essere stato espulso dopo la terza ammonizione a causa di una svista dell’arbitro – festeggiò la qualificazione della sua nazionale al mondiale del 2014 infuocò il pubblico accorso allo stadio per salutare i giocatori gridando per tre volte Za dom (Per la patria) mentre il pubblico rispondeva Spremni (Pronti!). Quello che potrebbe sembrare un normale coro da stadio è in realtà il grido di battaglia degli Ustascia, grido che è valso una multa di 3.500€ a Simunic e una squalifica di 10 giornate da parte della FIFA, facendo saltare l’intero mondiale al croato.
Un esempio del sentimento tendente a destra dei croati è stato reso evidente anche nelle sfide di qualificazione con l’Italia per gli Europei del 2016. La gara Croazia-Italia, prevista a Spalato – città di tradizione veneta e che ancora oggi vede una minoranza etnica italiana attivissima dal punto di vista culturale, tanto che in città si trovano la sede della Comunità degli Italiani, del Centro Ricerche Culturali Dalmate, della Società Dante Alighieri e del Consolato italiano – venne giocata a porte chiuse perché nella precedente gara contro la Norvegia giocata a Zagabria i croati si distinsero per degli insulti a sfondo razzista. Nonostante la multa alla Federcalcio croata di 50.000€, i giardinieri del Poljud, lo stadio di Spalato, si “divertirono” a disegnare una svastica sull’erba dove poi avrebbero giocato Italia e Croazia, facendo vedere così in mondovisione la loro “opera d’arte”.
E ancora, il difensore della nazionale e del Liverpool Dejan Lovren pubblicò un video in cui, insieme al terzino dell’Atlético Madrid e ora adocchiato dall’Inter Sime Vrsaljko, stava cantando il brano Bojna Cavoglave. Nome che probabilmente a noi non dice assolutamente nulla; per i croati quel brano significa quasi tutto. La canzone, incisa dal rocker croato Marko Perkovic Thompson, divenne nel 1991 l’inno non ufficiale dei separatisti croati, poiché la canzone parla di “scacciare i serbi” dalla Nazione croata. Nota a margine, ma forse neanche troppo, la canzone si apre con il già citato “Za dom – Spremni!“, il “saluto” dell’Ustascia.
I croati però non guardano alla politica solo in casa loro: il difensore centrale Domagoj Vida, da molti ritenuto come l’anello debole della nazionale croata, ha sfornato diverse prestazioni di livello, condite anche dal gol del momentaneo vantaggio contro la Russia padrona di casa, partita nella quale realizza anche uno dei rigori che porta i croati in semifinale. A fine partita, il difensore ha girato un video insieme a Ognjen Vukojevic, ex giocatore e membro dello staff croato. Nel video i due gridano “Gloria all’Ucraina” perché entrambi giocarono nella Dinamo Kiev, anche se in anni diversi. Vida, tra l’altro, era militante nella squadra ucraina proprio nei principali anni di guerra tra le milizie russe e quelle ucraine prendendo – da buon nazionalista – le difese del Paese che lo aveva accolto. Naturalmente il giocatore si è affrettato a dire che il video “non aveva nulla a che fare con la politica”, ma l’impressione è che fosse solo una frase di circostanza.
Separatisti, nazionalisti, anti-comunisti, cristiani – in maggioranza cattolici – e di destra coma la Presidente Kolinda Grabar-Kitarovic, tra le prime donne a ricoprire il ruolo di Capo di Stato.