Vi voglio raccontare una storiella che riguarda il mio vissuto: non perché ritenga che la mia vita terrena sia di qualche interesse, ma perché l’episodio aiuta a comprendere alcune dinamiche peculiari.
Che io ami svisceratamente la val Rendena, tanto da averci comprato casa, progettando di venire a trascorrervi la vecchiaia, credo sia cosa nota. Quel che è meno noto è il fatto che, qualche anno fa, stessi pensando seriamente di trasferirmici, ben prima della giubilazione lavorativa. L’idea era quella di chiedere un trasferimento a Tione, di vendere quei quattro immobili bergamaschi e di acquistare una casa più grande e più bella dell’attuale (che non è male nemmeno lei), dove godermi il freschetto e trascorrere il tempo libero, tra tennis e sci.
Resi partecipe dell’idea un mio conoscente trentino, il quale, più per eccesso di zelo che per sbadataggine, si affrettò a telefonare a sua volta a una sua conoscente che lavorava in un comune della valle, raccomandandole il mio caso e perorando la mia causa con frasi del tipo: non sai che grande onore sia ospitare un simile personaggio, è un’occasione da non perdere, e così via.
Va detto che io odio questo genere di pubblicità: la frase del Gadda “…per favore mi lasci nell’ombra…” mi calza a pennello. Infatti, se l’avessi saputo, avrei stoppato immediatamente il mio mallevadore non richiesto: purtroppo, però, il danno era fatto. Così, quando, tutto contento, me ne sono andato in comune a domandare informazioni per un mio eventuale cambio di residenza, mi hanno guardato come un boss mafioso: io, non sapendo dei maneggi, sono rimasto, lì per lì, piuttosto stupito dell’atteggiamento scostante dell’addetta.
Chiedendone ragione, mi venne detto, testuale, che, in Trentino, dei forestieri ci si fida poco. Ora, a parte che il forestiero non veniva da Bogotà, ma da Bergamo, e non faceva il giostraio ma lo storico, io capisco perfettamente che si vogliano difendere i notevoli privilegi dei residenti, non concedendoli al primo che passa, ma trattare come un importuno questuante uno che da vent’anni porta fior di palanche in valle, mi era parso un tantino esagerato.
Da una parte, certamente, ha pesato l’improvvido intervento di cui sopra: dall’altra, però, il comportamento dell’impiegata ha denunciato una forma mentis piuttosto sgradevole. Che riassumerei nel concetto: finchè ti mungo, va bene, ma non venirmi a chiedere niente! Il risultato è che non mi sono trasferito a Tione, non ho comprato una casa più grande e non ho prestato il mio modestissimo contributo alla vita culturale rendenese.
Contenti loro! Il senso dell’apologo dunque è che va benissimo rigettare clientelismi e raccomandazioni: l’avrei fatto anch’io. Ma non si deve neppure sputare nel piatto in cui si mangia e guardare al forestiero come a un potenziale profanatore della purezza atavica del territorio.
E, se mai dovesse accadere che qualcuno mi domandasse, chessò, una consulenza, una conferenza o qualcosa del genere, per ravvivare le serate estive pinzolesi, mi adeguerò agli usi locali. E chiederò un cachet doppio rispetto al mio solito.
Ma, tanto, so già che non succederà…
Marco Cimmino