Si parva licet componere magnis… Premetto che questo esordio latino non è una specie di patetica esibizione culturale da studente di liceo, ma l’ammissione della mia inferiorità rispetto alla materia di questo articoletto, ossia Alessandro Barbero.
Se non avessi fatto questa premessa, le mie parole avrebbero potuto essere interpretate come quelle del nano che punzecchia il gigante: e, magari, lo saranno comunque. Perché Barbero fa, più o meno, le stesso cose che faccio io: solo che le fa meglio e a un ben più alto livello. Perciò, siccome intendo comunque cercare di spiegare alcune sue prese di posizione, che hanno suscitato un autentico coro di critiche, non vorrei essere frainteso: il mio non è un tentativo di propormi come “anti-Barbero”, come qualcuno ha scritto.
Sarebbe una cosa ridicola, oltre che irrealizzabile. Tuttavia, ci terrei a spiegarvi come la penso a questo riguardo, credendo che l’opinione di uno storico, sia pure ultimo e mignolo, circa le affermazioni di un altro storico, possano contribuire al dibattito.
Dunque, partiamo dall’inizio. Barbero non nasce calzato e vestito dalla mente di Zeus: è uno che ha fatto la sua brava carriera universitaria e che, come chiunque affronti questo impegnativo percorso, avrà avuto i suoi sponsor e i suoi rivali. Nessuno, che non abbia un ordinario a sostenerlo, può pensare di entrare negli ingranaggi accademici: questo vorrei che fosse chiaro. Quindi, Barbero si è progressivamente affermato come un bravo medievista e modernista, pubblicando libri via via sempre più impegnativi e, al contempo, significativi.
Fin qui, si tratta di una carriera del tutto normale. Poi, però, è stato scoperto dal “sistema”: ci si è accorti che quel professore di provincia aveva doti di comunicatore non comuni. E di lì sono iniziate la gloria e la vera carriera di Barbero: una carriera al di fuori degli atenei e fondata sui social e, soprattutto, sulla televisione. Barbero è diventato Barbero, per così dire: grazie al suo mentore, Paolo Mieli, che sta a una certa dimensione culturale come Cecchetto stava alla musica pop, il Nostro è diventato la colonna portante del canale storico della Rai.
Va da sé che quella porta gliene abbia aperte molte altre, a cominciare dal milione di follower di cui godono certi suoi video su You Tube. Insomma, Barbero, per molti Italiani, incarna la storia: finchè, evidentemente, ha cominciato a pensarlo anche lui. Così, da una parte, ha abbandonato la propria comfort-zone per cimentarsi con tematiche molto lontane da quelle su cui, per solito, esercita la propria scienza un medievista e, dall’altra, ha dovuto saldare alcune cambiali, per così dire, che gli avevano rilasciato i suoi mentori politico-culturali.
Per dirla in breve, si è trasformato in tuttologo, spaziando dal Neanderthal alla corsa allo spazio e, dall’altra parte, ha cominciato a menare acqua al mulino della politica. Peraltro, Barbero non ha fatto mai mistero delle sue convinzioni, per cui non credo che la cosa gli sia costata particolare fatica. Solo che dichiararsi comunista, per uno storico, equivale a dire che, in nome della fede si sia disposti a raccontare balle, anche sapendo che sono balle.
Si chiama dizinformacija, ed è uno dei prodotti peculiari del comunismo sovietico. Ecco spiegate le defaillances ultime scorse di un bravo studioso che pare essersi dimenticato, improvvisamente, le regole deontologiche e scientifiche su cui ha costruito la sua bravura.
Secondo me, Barbero è ancora un ottimo storico: solo che non fa l’ottimo storico, se rendo l’idea. In conclusione, per non annoiarvi troppo, mi pare di poter dire che Barbero sia stato rovinato dal successo: forse, dal troppo successo.
Anche se, detto così, potrebbe sembrare il giudizio di un invidioso.
Per questo, prevenendovi, ho esordito con le Georgiche…
Marco Cimmino