La ragazza del lago, il mistero del lago: quanta fascinazione esercitano le acque in genere, soprattutto se da esse emerge un cadavere, se a farlo scoprire è stata, ufficialmente, una sensitiva e il caso è rimasto regolarmente irrisolto.
Chiara Bariffi, da Bellano, paesino sul lago di Como, il 30 novembre 2002 ha trent’anni, lunghe chiome scure, begli occhi verdi, alle spalle una famiglia aperta e tollerante, formata da genitori e una sorella, ma altresì già un bel carico di travagli.
Liceale brillante, fotografa in erba, molla però subito l’università perché, a suo dire, la fa sentire sotto pressione e vola a Londra, dove si butta nella movida della capitale inglese, che le danneggia ulteriormente il precario equilibrio emotivo, tra esperienze frenetiche. Si registrano due storie sentimentali di un minimo spessore, venute fuori al processo: con un italiano di incerte fortune (però, stando alle sue parole, sempre preoccupato per i problemi della ex che ancora ogni tanto vedeva) e con un oscuro londinese che l’avrebbe fatta precipitare nel baratro. La giovane avrebbe sofferto di una misconosciuta, almeno dalla pubblica opinione, “sindrome del sosia”: immaginava di essere circondata da sorta di cloni, rinnegando per un periodo perfino i familiari, che non riconosceva più. Si è parlato anche di un TSO.
Chiara non lavorava, o almeno non andava oltre i tentativi di piazzare le sue originali foto presso qualche giornale, ma giusto il primo dicembre 2002 avrebbe esposto i suoi lavori a una mostra: una soddisfazione che, secondo i familiari, e anche i medici curanti, l’aveva elettrizzata e certamente tenuta lontana da tentazioni suicide, in seguito adombrate.
Chiara se ne andava in giro con la sua Dahiatsu Terios di un colore tra il bordeaux e il viola, i fascioni grigi laterali e i fari di una foggia originale, per allora: l’auto è importante, in questa storia. La trentenne era spesso in giro di sera, faceva le cosiddette ore piccole, a volte oltre l’alba, provocando il disappunto della mamma, una dolce signora dai modi pacati, comprensiva verso quella figliola sofferente.
La situazione era aggravata dal fatto che Chiara tornava a casa spesso un po’ brilla e “fumata”, o addirittura si attardava in questi svaghi “hippy” a casa, mettendo a dura prova i genitori, di età un poco inoltrata per l’esuberanza della figlia. In America li chiamavano “barfly”, mosche da bar, quelli che giravano da un locale all’altro; e “Mister Goodbar”, dall’omonimo film degli anni settanta, i tipacci che una signorina poteva raccattare durante i tour alcolici.
Così quando, la mattina di domenica primo dicembre, a casa Bariffi, il letto è ancora vuoto e le ore passano invano, la famiglia si mette in cerca, prima dal suo ex, poi da quelli che venivano ritenuti i migliori amici di Chiara: Massimo Barili e, soprattutto, l’ultracinquantenne Sandro Vecchiarelli, un soggetto riguardo al quale molti si sono chiesti cosa lei potesse trovarci, di così appagante: ma le relazioni umane sono sempre enigmatiche.
Poiché tutti negavano di averla vista dopo le due e trenta di quella notte, in un certo bar di Dervio, da cui sarebbe uscita da sola, si insinuò il dubbio della scomparsa volontaria, che per un soggetto fragile e ondivago come lei appariva comportamento probabile. L’indagine in effetti dormì alquanto, finché una giornalista RAI ebbe l’idea di suggerire ai Bariffi, che avevano trascorso un anno e mezzo a rincorrere segnalazioni di avvistamenti in giro per l’Italia, il nome di una sensitiva, Mariarosa Busi, che viveva nei dintorni e faceva l’ausiliaria ospedaliera.
Poco ci volle perché la donna indicasse un’area acquatica prospiciente quello che gli abitanti del posto chiamano “Il buco dell’oca”, uno specchio d’acqua all’interno del lago di Como ritenuto particolarmente pericoloso: per gli incidenti (era sotto una curva poco protetta), e i mulinelli che attiravano i suicidi, sotto il quale si trovavano varie carcasse d’auto. Il 13 settembre 2005, con l’ausilio di uno specialista in questo tipo di ripescaggi, fu tirata su la Terios, con il corpo di Chiara dentro. Causa della morte, secondo il medico legale: annegamento.
Bisogna però attendere il 2008 perché si proceda a degli arresti: quelli di Barili, scarcerato quasi subito, e di Sandro Vecchiarelli.
Il processo in realtà arranca. La pubblico ministero non sembra nemmeno molto convinta delle accuse che muove e non supporta granché nemmeno i due teorici supertestimoni. Uno dei due fa la figura dell’ennesimo girovago etilico, parla strascicando le parole, ha visto e non ha visto, ricorda quel sabato sera per un nubifragio, ma la difesa del Vecchiarelli contesta quel meteo e l’accusa tace.
Il secondo teste narra di una scena complicata a cui avrebbe assistito: un auto come quella di Chiara, con una persona nell’abitacolo, che la sera del 30 novembre sarebbe stata calata in acqua da una gru. Si ritiene che l’uomo sia inaffidabile, anche perché, all’ora di questa manovra, pare assodato che la vittima fosse ancora viva. I carabinieri, insistendo nella bontà del proprio operato, sostanzialmente ribadiscono che furono effettuate, nelle settimane successive alla scomparsa, varie perlustrazioni su strada e sott’acqua, e non erano emerse tracce né di un incidente, né della macchina che si cercava.
L’imputato, dal canto suo, durante il dibattimento resta in gabbia a fissare la corte e ascoltare attentamente, senza mai dire una parola, con i suoi baffetti da sparviero e la scarsa chioma un po’ arruffata.
Infine, la stessa PM chiede l’assoluzione per non aver raggiunto il minimo di prova sufficiente a sostenere l’accusa; la difesa, naturalmente, concorda.
Si giunge alla conclusione che tra Chiara e Sandro si fosse instaurata una affettuosa amicizia. Lei lo aiutava ad accudire il padre centenario e lo accompagnava durante le sarabande notturne; forse il Vecchiarelli aveva un debole per lei e una volta aveva allontanato con le brutte un presunto corteggiatore, ma nessuna love story è stata mai provata. Ovviamente i contribuenti italiani hanno dovuto risarcirlo.
Abbiamo le consuete domande senza risposta, o quantomeno dei dubbi nemmeno mai sollevati.
Il corpo della ragazza era integro, a parte la mancanza di un occhio, del lobo di un orecchio e di una falange: è possibile che, dopo un anno e nove mesi in acqua, non ci sia stata decomposizione, i vestiti siano quasi intatti, la fauna lacustre non abbia eroso le carni, non si rinvengano gonfiore o colorito alterato? Insomma, dalle descrizioni, peraltro piuttosto sommarie, che abbiamo ascoltato, pare quasi che la Bariffi fosse caduta nel lago il giorno prima.
In effetti un sinistro stradale, magari la perdita del controllo per lo stato di ebbrezza, in quella curva avrebbe lasciato segni sul muretto, sugli scogli e sulla vettura stessa: al riguardo solo un perito ha fatto riferimento all’ammaccatura che un palo di ferro avrebbe lasciato sul tetto della Terios, ma nulla di più; in ogni caso, così fosse andata, Chiara avrebbe fatto un balzo stile rally, sul parapetto e sulle pietre sottostanti, senza nemmeno sfiorarli. Esisteva un accesso al lago, il cosiddetto scivolo, ma è stato assicurato che fosse sempre chiuso da una sbarra con lucchetto, trovata priva di segni di effrazione.
E la sensitiva Busi? Accertato che non avesse mai conosciuto il Vecchiarelli (per chi insinuava che egli si fosse “confessato” con lei durante una degenza propria o dell’anziano genitore), se pure per qualcuno restasse valida l’ipotesi che la donna avrebbe orecchiato delle notiziole in giro, questo sposta di poco il problema, a parte la soddisfazione di aver almeno ritrovato la vittima, perché resta il quesito: come è morta?
Il caso continua a interessare alcuni appassionati di crimini e, di recente, è tornata a galla l’ipotesi che il testimone del presunto affogamento con la gru non fosse poi quello sprovveduto per cui è stato fatto passare: ma si può rischiare di farsi vedere da tutti, su una piazzola lato strada piuttosto in vista, mentre si utilizza un camion per far sparire un cadavere dentro un’automobile? O in alternativa, come pure si è detto, una persona che per un malore era stata creduta morta dagli amici di baldorie?
Troppi pezzi mancano a questo puzzle per intravederne anche una minima trama e i genitori di Chiara se ne sono andati senza aver avuto risposte.
Carmen Gueye