Così Mario Ferretti aprì la radiocronaca della Cuneo–Pinerolo, terz’ultima tappa del Giro d’Italia del 1949. L’airone aveva spiccato il volo lasciando alle spalle l’eterno rivale, Gino Bartali, ad imprecare nella polvere dei dodici minuti di svantaggio. Era un Italia ancora profondamente ferita dalle tracce della guerra, tra strade rotte polverose e stazioni ferroviarie semidistrutte. il Piano Marshall avviato solo da pochi mesi, seppure fu d’aiuto, veniva considerato insoddisfacente per un Paese ridotto allo stremo e con una guerra civile dai fucili ancora caldi.
In questa Babele riuscimmo a trovare un briciolo di dignità per le gesta sportive di due campioni, Coppi e Bartali, potenza della passione sportiva capace di farci rialzare la testa ed il nostro orgoglio. E ci riabbracciammo. Successe dopo la vittoria al Tour del Ginettaccio fiorentino con gli italiani saliti di nuovo sulle barricate per l’attentato subito da Palmiro Togliatti dal siciliano Antonio Pallante, era il 14 luglio del 1948.
Memorabile la telefonata notturna tra Bartali e l’allora premier Alcide De Gasperi: Gino, domani devi vincere. Bartali, sconvolto per le allarmanti notizie giunte dall’Italia, rispose negativamente: Eccellenza, rispose, ho chiesto a Binda (Alfredo Binda, già formidabile campione, direttore tecnico della squadra azzurra) di tornare a casa, ho il dovere di proteggere la mia famiglia. Il Capo del Governo non sentì ragioni: Gino, domani devi vincere, devi farlo per tutti noi. Eccellenza, come faccio? Non sono in forma e ho 20 minuti di svantaggio da Bobet… (Louison Bobet, ciclista francese, leader della corsa transalpina) 20 minuti, un’eternità per chi mastica di ciclismo, ma De Gasperi non si scompose. Gino, domani, devi vincere.
In quel Tour, Gino, le aveva già subite tante come l’attacco vigliacco dei francesi sulle Alpi per farlo cadere, al grido: Italien fasciste, rentrent chez toi. Il vecchio brontolone del «l’è tutto da rifare» non replicò. La mattina successiva inforcò la bicicletta volando sul Izoard lasciando Bobet ai piedi della montagna. Prese la maglia rosa vincendo le due tappe successive e arrivando da primo della classe a Parigi. Gli italiani posarono le armi per abbracciarsi. Fausto Coppi non partecipò a quella corsa, condannato al domicilio coatto per abbandono del tetto coniugale. Nel Belpaese bigotto esisteva anche questo. Fausto Coppi, reo di avere intrecciato una relazione con la ‘’Dama Bianca’’, Giulia Occhini, fu messo al bando dai solerti soloni della giustizia italiana.
Si rifece l’anno dopo vincendo tutto quanto era possibile, Tour e Giro compresi, lasciandosi alle spalle il ‘’quello là’’ di sempre: Gino Bartali. Gino e Fausto non si sono mai chiamati per nome, al ‘’quello là’’ di Coppi replicava il ‘’quello lì’’ di Bartali, divisi loro e divisi gli italiani tra bartaliani e coppiani. Anche in politica. Bartali, Cattolico convinto, era considerato l’uomo della D.C.; Coppi, figlio di contadini e per lo più capace di rompere il tetto coniugale, benvoluto dai comunisti fino a considerarlo uno di loro. Non tutti sanno che fu proprio Fausto Coppi il firmatario del documento, del 1948 col quale, insieme ad altri campioni dello sport, esortava a votare la DC di De Gasperi. Testacoda storici, uno dei tanti dell’italietta di allora.
Si detestavano ma si scambiarono la borraccia il 4 luglio 1952 durante la tappa Losanna-Alpe d’Huez sul passo del Galibier, un’immagine rimasta immortale grazie allo scatto fotografico di Felice Martini. Di chi sia stata quella borraccia, ancora oggi, non è dato a sapere. Si detestavano ma “quello là” non tardò a chiamare “quello lì” nella San Pellegrino Sport, il team ciclistico dove Bartali fu ingaggiato come direttore sportivo. Lo chiamò per rilanciarlo e, in cuor suo, per ricominciare il percorso insieme.
L’alessandrino di Castellania rispose al vecchio nemico fiorentino: presente! Però, prima, vado a fare una battuta di caccia in Burkina Faso. Il Giusto tra le Nazioni, Gino Bartali, non poteva sapere ch’era l’ultima volta insieme al Campionissimo ancora in vita. Una puntura di zanzara, la malaria ed una cura tardiva, costrinse l’airone a chiudere le ali per sempre.
“Quello là” pianse tutte le sue lacrime, inginocchiato di fronte alle spoglie di “quello lì”. Mi piace immaginarli ancora a duellare tra le salite del Cielo. Così facendo rivedo l’airone in tutta la sua bellezza inarcato sui pedali mentre Bartali, imprecando a più non posso, chiedere strada per poi fumarsi una Nazionale senza filtro all’arrivo.
Ma di chi era quella borraccia?
Marco Vannucci