
In questo 6 febbraio, tocca ancora una volta fare i conti con un tema che può al lettore sembrare brutto, scomodo, morboso e demodé. Dagli anni Novanta, proprio grazie alla diffusione e alla consapevolezza riguardo al tema, la mutilazione genitale femminile è diminuita in diversi Paesi in cui è praticata, soprattutto in Egitto, Kenya, Liberia, Togo, Burkina Faso.
Fra tutti i Paesi con tassi variabili di mutilazione genitale femminile, il tasso di prevalenza è passato dal 50% negli anni Novanta a un terzo circa di donne circoncise. Per questo è importante continuare a parlarne, ricordando che tutte le mutilazioni genitali contravvengono ai diritti umani in quanto tortura e alla Convenzione sui diritti dell’infanzia, anche se per motivi culturali o religiosi e anche se per decisione dei genitori. La pratica continua a essere endemica nei Paesi che si affacciano sul Mar Rosso, diffusa fino in Indonesia, e in Africa Subsahariana.
Come in tempi antichi le rotte di scambio hanno portato la pratica in Yemen e in Iraq, il fenomeno ci riguarda sempre più da vicino visto l’aumento esponenziale delle grandi migrazioni. La Somalia (oltre il 99% delle bambine mutilate), l’Etiopia (che ha reso la pratica illegale nel 2017, ma dove l’85% delle donne viene mutilate) e il Mali hanno visto un aumento dei conflitti e di flussi migratori diretti verso l’Europa, primo Paese fra tutti l’Italia.
Se negli anni passati si trattava di un argomento su cui si poteva fare solo divulgazione per cambiare le cose, nei prossimi anni potrebbe diventare una questione penale che riguarda l’Italia. Se si pensa che sia un argomento esotico e e troppo macabro per essere trattato, si rischia che diventi una questione di ordine pubblico.
In Inghilterra, ad esempio, la pratica è continuata ininterrotta nelle comunità e che cittadini inglesi di origine straniera venissero mutilati davanti alle istituzioni inerti prima che le istituzioni formassero insegnanti e servizi sociali. Complice un relativismo culturale figlio dell’omertà per quanto riguarda tutte le ex colonie, che però sfocia in razzismo vero e proprio quando si omette il soccorso a cittadini inglesi minorenni perché “è la loro cultura”.
In Italia, non abbiamo ancora grandi comunità di seconda generazione e il problema (ancora) non si pone su larga scala. Il problema che invece si pone è quello del soccorso medico alle donne che hanno subito la mutilazione genitale, che continua a provocare dolori e sofferenze per tutta la vita.
La questione pone anche un altro grande nodo da sciogliere: quello della riproduzione femminile, del suo controllo e della salute riproduttiva femminile. Con l’estrema rarefazione dei consultori e la crisi pandemica e adesso la crisi oncologica che ne è scaturita, la salute riproduttiva pare un lusso ormai appartenente a un’altra epoca. Ma è centrale per la salute generale di oltre metà della popolazione, e richiede una maggiore attenzione, anche per quanto riguarda tutte quelle donne affette da sindromi che causano infertilità e dolore cronico.
Con un Presidente del Consiglio donna che ha già avanzato la questione della crisi della natalità, sembra ancora più importante ribadire che fare figli è un diritto. Troppo spesso viene negato alle donne mutilate, ma anche a tutte quelle donne che vengono abbandonate a loro stesse da un sistema sanitario sempre più interessato alla questione del controllo e sempre meno alla salute dei cittadini.