La corsa finale
Le divagazioni sessuali di Marilyn non costituiscono più un argomento incandescente. Anche allora, in effetti, un uomo navigato e aduso all’ambiente non vi avrebbe dato peso più di tanto. Joe di Maggio ci aveva provato con lei poiché il suo passatempo era la ricerca di starlette disponibili. Probabilmente, quando il campione rimase coinvolto nella rete, insomma si innamorò, le risonanze di una certa mentalità con radici nelle sue origini sicule tornarono a farsi sentire. E’ possibile che Marilyn sia rimasta colpita da questa aspirazione a una più rigorosa morale familiare, oltre che da esempi di colleghe più equilibrate, come Lauren Bacall, colta in fiore dal “vecchio” Bogart, e già due volte madre quando lavorarono insieme in “Come sposare un milionario”. Qui può aver attecchito la pianta di un elemento depressivo consistente, legato a sue precedenti crisi con tentativi di suicidio, anche se non sono accertati i numeri iperbolici letti negli anni: si trattava verosimilmente dei consueti eccessi con le pillole,
Abbiamo dunque il dato di partenza dei traumi infantili, anche se non ne è certo il grado di pesantezza, ma certamente presenti, e la mancanza di una vera famiglia, con lo strascico del senso di abbandono e di solitudine: non nuvole occasionali, ma ombre, fantasmi che non davano tregua.
Arriva poi la decisione di recitare e la ragazza si sottomette al giogo: fino a che punto, non è dato sapere, ma poiché nemmeno lei lo negava, anche giocandoci sopra o esagerando per provocazione, lo diamo per certo.
Seguì una girandola di uomini impegnati o sposati che frequentò per arrivare, o continuare in carriera: come il suo socio nella casa di produzione indipendente, che a un certo punto lei fondò per aumentare le percentuali di guadagno, Milton Green. Le ambizioni professionali, nel caso Monroe, fino a una certa data sembravano superiori a quelle di realizzazione tipicamente femminile.
Se è vero, come ormai non è messo più in dubbio, che la nostra ebbe a subire numerosi aborti volontari, questo aspetto non può essere sottovalutato. Lo aveva fatto con modalità poco ortodosse e forse, nei primi tempi, un po’ barbare; cosicché, quando provò a portare avanti una gravidanza, non ci riuscì e la frustrazione aumentò. Non sembra invece accreditabile il sospetto che si sia fatta chiudere e riaprire le tube.
Ci appare una “bufala” la storia di una proposta di nozze da parte di Ranieri di Monaco. Il principe aveva idee piuttosto chiare sul ruolo della sua sposa: libellula prima delle nozze, magari, ma non troppo scandalosa prima e soprattutto con pochi grilli per la testa, dopo. Grace dovette passare molti esami; non vediamo Marilyn nemmeno come candidata.
Il problema centrale di questa esistenza appare il parossismo a cui fu portata l’apparenza. Avere successo significa prestarsi al gioco, sopravvivere dipende da quanto l’individuo riesce a proteggersi. Marilyn oscillava tra i desideri della donna comune, che era sempre stata, e le conseguenze della riuscita, incredibile, del suo progetto. Catapultata nelle alte sfere, forte nei desideri, ma debole nel resistere al contraccolpo, gli ultimi due anni della sua vita risultarono una montagna russa permanente.
Lei aveva preso all’amo, anche se poi perso, il top dello sport e dell’intellighenzia a stelle e strisce. Frequentava i famosi e, se meno instabile, avrebbe potuto visitare l’Europa, dove sarebbe stata accolta come una dea. La paura di fallire, di abbandonare le sperimentate (cattive) abitudini da star, la frenarono. Sempre la paura.
Durante le riprese dei suoi film, nella seconda metà degli anni cinquanta, era sempre affiancata da Paula Strasberg: intercettata l’attrice all’Actor’s Studio, Paula e il suo allora marito Lee Strasberg l’avevano accerchiata, insieme alla figlia Susan divenutale amica, e mai più mollata.
La scoperta di New York rappresentò una svolta, per Marilyn, e avrebbe potuto salvarla. Paula Strasberg, ormai vicina al marito solo professionalmente, all’inizio era solo una sua consulente, ma finì col rappresentare il suo alter ego: sul set impostava ogni battuta della sua protetta, con sfumature freudiane riguardo alle motivazioni del ruolo o della singola scena. Secondo molti, le lezioni del “metodo”, intrecciandosi troppo con l’aspetto psicanalitico, avrebbero condotto la Monroe a una fase regressiva destabilizzante.
D’altra parte, nell’appartamento newyorchese dove la diva viveva con Arthur (raramente lui riusciva a trascinarla in campagna), la domestica Lena Pepitone, napoletana doc, le preparava piatti italiani e glieli portò anche all’ospedale, quando lei stette male, a matrimonio ormai “rotolante”. L’attrice sperimentò di nuovo, dopo la breve frequentazione di casa Di Maggio, un lampo di vita all’italiana, che presto terminò e dovette toccarla nel suo punto debole, la mancanza di una vera famiglia.
La East Coast in realtà non era la dimensione di Marilyn. Lei, californiana doc, non si sarebbe mai potuta adattare all’ambiente “off” Broadway e alla spocchia degli attori della Grande Mela. La sua dimensione era quella delle ville sulla spiaggia e dei party agli studios o ai casino del vicino Nevada. Purtroppo tutto ciò la attraeva o distraeva oltre misura; e gli eccessi di contorno, su di lei, sortivano un effetto disastroso.

Miller, nell’analizzare anche con spietatezza la sua ex moglie, fa riferimento a una cosiddetta ” incapacità di ricevere”, concetto da non sottovalutare. In realtà, a voler guardare l’intero contesto di questa non lunga vita, più ancora che problemi nel ricevere, Marilyn ne aveva nel selezionare: l’amore, il sesso, gli amici, gli aiuti artificiali.
Sappiamo che Marilyn viveva modestamente: spese a carico degli studios, ma pochi lussi, né limousine o guardie del corpo. L’interesse del pubblico, era lei a tenerlo vivo sollecitando servizi fotografici, interviste, la chiacchierata con un famoso DJ radiofonico.
L’apparizione bombastica e un po’ oscena al compleanno del presidente Kennedy fu un’idea di Peter Lawford, magari in combutta con Sinatra; non ci pare, a distanza di anni, che abbia portato un valore aggiunto alla rappresentazione, risultata invece, grazie a quei sospiri stile Donna Summer, pacchiana e caricaturale.

Il periodo 1961/1962 non dovette rappresentare un picco favorevole e la fase “down” durò troppo a lungo: nessun partner “di peso” al suo fianco e un morboso interesse verso la sua persona. Era possibile riciclarsi, ma con un apparato alle spalle e i fianchi coperti da robuste presenze affettive. In questo clima lei si sollazzava, secondo certe veline, con gigolò di sottobosco mafioso ( Johnny Roselli, Sam LoCigno), come la collega Lana Turner, che alla fine ne accoltellò uno che la angariava ( anche se molti sostengono che a farlo fu la figlia).
L’apparato le conferì l’Henrietta Award, un premio prestigioso attribuito fino al 1980, come miglior attrice, ma non le bastò. La Monroe vagheggiava sorti diverse. Stilò una lista di registi con cui avrebbe voluto lavorare e tra questi figurava Vittorio de Sica. Conosceva il cinema italiano? O le pareva solo un bel modo per rinverdire una carriera, presentandosi in carne e ossa all’Europa, che tutto prendeva e dove molti divi americani in declino o in pausa andavano a rifarsi e divertirsi?
La diva fu ascoltata, negli ultimi giorni, parlare di suoi progetti futuri; ma pure, dal suo ultimo intervistatore, esprimersi in tono dolente, in una casa dove l’atmosfera era tesa, definita dal giornalista “noi contro tutti”. Probabilmente gli stati d’animo della star mutavano di molto, anche a causa dei farmaci. Riportiamo, per dovere di cronaca, voci su un suo coinvolgimento in sette sataniche, che avrebbero irretito, per esempio, anche Jayne Mansfield, diva di seconda fila, imitatrice di Marilyn in un paio di film farseschi, madre di Mariska Hargitay, la star di “Law and order SVU”; la Mansfield morirà nel 1967 in un drammatico incidente stradale, riferito sempre in termini molto controversi.

Nemmeno sull’uso e abuso di medicinali circolano notizie coerenti. Monroe li aveva sempre assunti, mentre tendiamo a rifiutare l’ipotesi di uso di droghe pesanti, sia pure a livello sperimentale.
C’ è chi usa gli antidolorifici come stupefacente, anche tra la gente comune. Il barbiturico, nome farmaceutico dal suono sinistro, è contenuto in medicine una volta di uso comune come l’Optalidon e la Cibalgina. Il Nembutal/Pentobarbital e il Cloralio idrato (sedativo ipnotico), da sempre indicati come i killer finali di Marilyn, costituivano “caramelle” molto in uso; e la prescrizione medica, per certi clienti, era disinvolta. Infatti dopo la morte di lei, ci furono rimpalli imbarazzanti tra i medici “dottor Feelgood” che l’avevano avuta in cura. Qualcosa ricorda l’ambiente che circonderà Michael Jackson.
S’è detto che il clistere era un metodo adoperato, in anni lontani, per perdere peso velocemente, e va aggiunto che problemi di colite e di stipsi assillavano Marilyn: tra pillole, alcol e scarso nutrimento, l’effetto finale era un perenne gonfiore addominale, che sarà apparso sexy agli ammiratori, ma derivava da distonie interne. Ora, si vorrebbe che la Monroe assumesse i farmaci anche con questo metodo.
Era davvero così sola? Tutto è relativo. Coltivava molto le relazioni a distanza, mediante lunghe conversazioni telefoniche, mentre le frequentazioni erano alquanto ridotte. Tuttavia, a conti fatti, molte di quelle che sceglieva la danneggiavano. Poteva rivelarsi esaltante muoversi in elicottero o stare a Santa Monica, a bere in spiaggia, quando il padrone di casa, il solito Peter Lawford, magari ci portava a sorpresa uno dei cognati Kennedy. E allora, davvero Marilyn avrebbe frequentato i due fratelli al potere e ambito a divenire first lady?
Sulla frequentazione di John, checché se ne dica, non vi sono certezze tra i comuni mortali, solo qualche discussa foto non certificata. I documenti richiesti dai biografi in base al “Freedom of information act”, una volta concessi, risultavano pesantemente censurati. Si ha qualche affidabile testimonianza di veloci contatti tra i due, e l’immagine dietro le quinte con entrambi i fratelli, ma è da escludersi, sulla base del buon senso, che il presidente muovesse un corteo di scorta per recarsi in Helena Drive a Los Angeles, cioè dall’altra parte degli States, per una sveltina o un’inginocchiata che molte erano pronte a concedergli e avrebbe presentato troppi rischi. L’occhiuto, e ostile, Edgar J. Hoover, non lo avrebbe nemmeno permesso formalmente; sorvoliamo su ciò che Hoover avrebbe lasciato fare ufficiosamente, per condurre i suoi abili giochi.
Tendiamo invece a dar credito alla colf di New York, Lena Pepitone, quando ci parla di un rapporto significativo con Bob Kennedy: ma come e quando, sarebbe tutto da verificare. Il ministro della Giustizia, allora, era padre già di sei o sette figli: la moglie Ethel è stata sempre incinta fino all’assassinio del marito, fatte salve le pause fisiologiche, ed è arrivata a undici parti. Egli viene segnalato in visita da Marilyn qualche volta, in concomitanza con la sua presenza nei dintorni.

Siamo a un bivio. O riteniamo che la Monroe fosse completamente impazzita a causa dei suoi personali triboli, quindi sragionasse senza nessuno a frenarla e allora…
…allora, a trentacinque, trentasei anni, si è ancora abbastanza giovani da conservare qualche illusione o speranza, se vogliamo. Una personalità a sfoglie, oggi positiva, l’indomani annebbiata, avrebbe potuto vagheggiare una conquista di quel livello, forse per rivalsa: come, in futuro, alla stessa età, una Diana Spencer vorrà dimostrare di valere più di quanto non fosse stimata.
A questo punto Marilyn avrebbe puntato a John, non a Bobby. Il fratello minore aveva impostato la sua immagine, falsa e ipocrita finché si vuole secondo i detrattori, sul modello del pater familias e del liberale di sinistra, occupato a oltranza nella difesa delle minoranze, problema su cui spese parole davvero alate, che echeggiano sui social per la gioia dei nostalgici di vecchi miti. La Monroe, una progressista moderata che non amava nemmeno far sapere delle sue frequentazioni di afroamericani, difficilmente avrebbe avuto il fegato di esporsi: non era il suo campo.
John e Jackie, invece, venivano dati in caduta libera non appena fosse cessato il mandato presidenziale; lei già viaggiava da sola. Negli anni il clan Kennedy avrebbe visto molti divorzi. Ma John avrebbe davvero sposato Marilyn? E lei, come lo avrebbe guardato da “civile” e non da ” Mr president”?
E’ stato scritto che ella era consapevole dei meccanismi di potere, che fosse astuta e calcolatrice. Ma durante la lavorazione dell’ultimo film incompiuto, quando la produzione quasi la supplicò di presentarsi sul set, dove erano in visita lo Shah di Persia, Reza Pahlavi e la moglie Farah Diba, interessati a osservare un ciak, lei non ne volle sapere, accampando, tra l’altro, che tale sovrano fosse “contro Israele”. Alla fine furono altri attori, tra cui la coprotagonista Cyd Charisse, a soddisfare la curiosità della augusta coppia. Se davvero Marilyn stava studiando da moglie di un politico, questo episodio non solo dimostra che era a livello zero in diplomazia, ma che di questioni internazionali sapeva un acca. Jacqueline almeno taceva o parlava di arredamento. Lo Shah Reza Pahlevi doveva le crescenti antipatie del suo popolo, che lo porteranno alla rovina, proprio all’accusa di essere troppo filo americano e amico dei “sionisti”. Inoltre Reza era in rapporti eccellenti con il presidente Kennedy.
Marilyn probabilmente non si spingeva oltre la conoscenza della regina Elisabetta e, da brava statunitense, considerava il resto del mondo un’ appendice americana. L’unica eccezione, ma siamo nel campo dell’infimo gossip, pare sia stata per il presidente indonesiano Sukarno, che le avrebbe fatto delle avances per interposta persona, costringendola a cercare l’Indonesia sulla carta geografica. D’altronde, la geografia è tuttora, per molti, una materia ostica.
Oppure…
… Marilyn, pur provata e sofferente, conservava, di massima, la lucidità, e allora tutti i discorsi letti e sentiti in questi decenni risultano improbabili: per esempio le telefonate convulse alla Casa Bianca chiedendo dell’illustre inquilino. L’incredibile è sempre possibile ma, a mente fredda dopo tanti anni, ci si potrebbe mantenere al realistico, che è già abbastanza oscuro.
Carmen Gueye