Mentre il 2023 si sta incanalando verso l’imbuto del tramonto è giunto il momento per una breve analisi di questo anno pronto a finire nel cassetto dei ricordi e, con esso, le immancabili promesse mancate. Il Bel paese ha visto per la prima volta una donna a capo del Governo, insediato il 22 ottobre del 2022, eleggendo Giorgia Meloni come primo Ministro della Repubblica italiana. E’ stato tutto oro, il luccichio? Non tutto, lasciatemelo dire. Per chi abbia votato la Giorgia della Garbatella, sperando nelle promesse elettorali, sicuramente sarà rimasto deluso iniziando dalle accise sui carburanti. In Europa saremmo (forse) più protagonisti, rispetto agli sciagurati parvenu del passato sinistro, ma certamente sono stati disattesi i proclami dove Giorgia urlava il suo basta a questa Europa matrigna. Che è rimasta tale e quale, casomai la cosa fosse sfuggita a qualcuno, però ha tolto il reddito di cittadinanza. Almeno in questo, promessa mantenuta. Ed ha fatto una cazzata. Perché, al di là delle chiacchiere, il lavoro non c’è per tutti ed abbiamo intere famiglie in fila alla Caritas.
Il reddito andava migliorato effettuando un minuzioso controllo sugli aventi diritto, ma toglierlo con la promessa di un lavoro futuro (che non c’è e non ci sarà per gli over 50) ha significato togliere il pane dalla tavola dei poveri. Nello Stivale va così, quando un decreto è giusto viene abolito per legge. Successe pure con i voucher, voluti dal governo Renzi, in quel caso si misero di traverso gli stipendiati d’oro della CGIL non capendo, i meschini, come i voucher fossero un ottimo mezzo sia per alcuni tipi di lavoratori nonché per i datori di lavoro impossibilitati nell’assumere. Comunque sia, Giorgia Meloni, tira dritto per la sua strada aprendo la porta ai liberali ed agli ex democristiani, sbarrandola a coloro in odore di nostalgia, ma la Giorgia nazionale dorma sonni tranquilli: con un’opposizione rappresentata dalla Schelein e da Conte, qualsiasi timore è ben fugato. Tutto il resto, del panorama politico intendo, sono solo frattaglie perditempo.
Piuttosto, Giorgia, dovrebbe prestare un occhio attento all’opinione pubblica, perché la gente è stanca ed un popolo snervato potrebbe compiere qualsiasi atto offensivo. Il popolo italiano s’è stancato di avere tutte le stazioni ferroviarie off limits previo un borseggio, quando va bene, o una coltellata per rubare quattro spiccioli nel portagoglio. Stanchi di vedere i vecchi aggrediti per la strada per un nonnula, come a Firenze; stanchi per interi quartieri dove anche la Polizia teme di entrare. Siamo stanchi di vedere i criminali impuniti e rimborsati mentre alla vittima tocchi la galera; stanchi di questo giro immenso di droga che niente e nessuno pare abbia voglia di fermare o almeno di contrastare; siamo stanchi. Stanchi di mistificare Gesù in cucù, di non potere costruire un Presepe per non offendere la sensibilità altrui mentre ben vangano le moschee poiché sta scritto nella Costituzione: la libertà di culto è un diritto per tutti. Per tutti eccetto per i cristiani, suppongo. Ah, già, la scuola è laica, così i posti pubblici, eccetera eccetera. Pure questo sta scritto sulla Costituzione. Questa Costituzione ogni qualvolta tirata fuori alla bisogna aggiungendo pure i nomi dei santi laici, ovvero i padri fondatori. Ebbene, uno di questi, fu Ercole Ercoli, all’anagrafe Palmiro Togliatti. Il cosiddetto migliore pretese il famigerato art. XII, dove l’Italia ripudia ogni forma di fascismo bollando a fuorilegge i fascisti, lo pretese con accanto il suo collaboratore personale, il giudice Gaetano Azzariti, un fascista più fascista di Farinacci. Ne senso dispregiativo del termine. Azzariti non solo scrisse il manifesto della razza, ma fu pure il presidente dell’abominevole tribunale della razza che ebbe il via, soprattutto, con il governo Badoglio. Testacoda storici.
Siamo stanchi pure di questa Costituzione, ma più che stanchi ne abbiamo le tasche piene. Il nuovo anno si presenterà, more solito, carico di promesse e buoni propositi. Repetita iuvant, come nella vita politica e non, viene facile accusare sempre il precedente. E’ colpa del governo di prima, di chi c’era prima, di chi ha fatto questo lavoro… E così via nel ripetere le solite parole, stancanti anch’esse fino alla noia, mentre continuiamo nella nostra ballata inutile al suono di una musica stonata per un popolo disperato.
In un vecchio foglio immaginai di essere l’anno vecchio che, prima di morire, guardasse l’anno nuovo ancora per un momento memore dell’accaduto durante il suo regno. Dall’inchiostro, uscì questo:
Non m’importa di pensare. Troppe le supposizioni andate a farsi fottere, come una lettera indirizzata a Babbo Natale che non è arrivata mai. Il primo gennaio è solo una data inventata dagli uomini. Propositi, speranze e mutande rosse: immani cazzate per illuderci ancora. Nella giostra non salgo, fermate il bus, preferisco scendere. Canto, stonando, l’ultima di Vecchioni. Un filo di pazzia s’impossessa della mente, mi sto arrendendo: non ho più voglia di affogare. I dagli all’untore hanno vinto la partita, sotto a chi tocca, il mio diario finisce qui. Con mutande rosse e sorrisi smaglianti si balla nell’ignoranza capitale spaziando dal Grande Fratello all’ultimo goal di Ronaldo, brindando con spumante e sguardi tarocchi, l’untore è morto: evviva il nuovo untore! Alzo bavero e spalle, io sono diverso. Non ho mai detto il migliore.
Buon anno, e che stavolta sia!
Marco Vannucci