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Attualità Società

L’OPINIONE: L’ipocrita difesa delle minoranze, l’uso di tale difesa a fini di “marketing” di “share” e di “like”.

L’accusa pubblica di falso, la gogna e la tragedia umana. Questa è l’Italia del 2024 e questi sono gli italiani? C’è proprio da domandarselo.

Il caso della signora e lavoratrice e imprenditrice Giovanna Pedretti è lo specchio delle macerie contemporanee del nostro Paese. Alimentata dai meccanismi intrinseci ai social media, la «gogna mediatica» si è scatena come una furia incontrollata e incontrollabile contro questa signora, prima e poi contro i suoi pubblici accusatori, dopo. E’ di qualche giorno fa che scrivevo l’invito ad indignarvi ed eccomi ripeterlo oggi: INDIGNATEVI! Non restate in silenzio, non borbottate… INDIGNATEVI, INDIGNATEVI e ancora INDIGNATEVI!

La «gogna a comando» è diventata la cifra della comunicazione sia sulle reti televisive pubbliche, mattino pomeriggio e sera, che sui social. Comunicazione di inciviltà!

Quello che è accaduto alla signora Pedretti, parafrasando Hemingway, domani può toccare a chiunque e non ti lamentare se domani tocca proprio a te, a te che oggi resti silente.

E’ il «furore giustizialista». Nel nome di cosa poi?! Ed hai cattolici, come me, vorrei ricordarmi e ricordare che «Il rispetto della reputazione delle persone rende illecito ogni atteggiamento ed ogni parola che possano causare un ingiusto danno. Si rende colpevole:

— di giudizio temerario colui che, anche solo tacitamente, ammette come vera, senza sufficiente fondamento, una colpa morale nel prossimo;

— di maldicenza colui che, senza un motivo oggettivamente valido, rivela i difetti e le mancanze altrui a persone che li ignorano;

— di calunnia colui che, con affermazioni contrarie alla verità, nuoce alla reputazione degli altri e dà occasione a giudizi erronei sul loro conto» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2477).».

Cosa è stato fatto di diverso dalla «gogna» del medioevo e nel corso degli anni, fino a tutto il ‘700, quando era considerata uno strumento ‘rieducativo’ oltre che punitivo? Nulla! In quegli anni era un palo fissato al centro della piazza a cui si legavano le catene che imprigionavano l’uomo o la donna, poi pensarono di chiudere il collo ed i polsi della vittima fra due tavole di legno con tre fori, per le mani e la testa (ed è questa è la forma che si è tramandata nelle immagini, nelle rievocazioni e nei film) ed ecco che entravano in scena i passanti (cioè persone che fino a quel momento erano innocui compaesani o vicini di casa) che si trasformavano in aguzzini temibili.

Era un intrattenimento per le piazze, per le genti. Popolino e nobili, tutti insieme riuniti, per assistere e divertirsi davanti a questo spettacolo, che sembrava ancora più interessante se la vittima era una donna o più di una. Poi si dice che arrivò il «progresso» e la gogna in piazza fu messa in soffitta.

Finita? No, si è solo modernizzata. Quella ‘’vittima’’ offerta al pubblico scherno e ludibrio in piazza diventa adesso la vittima di “gogna mediatica”. Così che quando sembrava essere una ‘’stranezza’’ dei nostri antenati medioevali invece si scopre che non è affatto così! Anzi, si ripresenta adesso in forme ancora più terribili: oggi le persone nascoste dietro il velo invisibile del web, fanno lo stesso usando un semplice ‘clic’ e torturando psicologicamente e mentalmente la vittima.

Se poi a far questo ci si mettono anche personaggi pubblici, con centinaia di migliaia di ‘’follower’, che si sentono liberi di diffondere, riprendere, esprimere feroci giudizi anche se non c’è consenso, pur di infangare fino all’umiliazione estrema delle vittime che non hanno mai visto né conosciuto e che, invece, chiedono solo di essere lasciate in pace. Perché? Forse come dicevano i filosofi è nella natura dell’uomo la possibilità trasformarsi in belva? Ed è il web, dove non c’è nemmeno una faccia ma solo un bit con la capacità di raggiungere milioni di utenti, con la sua perenne e perpetua movimentazione di contenuti, il tempio dove si va a celebrare questa nuova forma di tortura con cui qualche webebete gioisce ed a cui, volutamente (perché?) non si riesce a trovare un freno né una autorità che possa di diritto intervenire. Se poi al web s’aggiungono anche programmi televisivi… tanta e tale è la proliferazione e diffusione dei contenuti.

Oggi per le persone, che siano uomini o donne, che siano semplici e ordinari cittadini o personaggi pubblici, non ci sono più «punti di riferimento, né politici, né sociali né religiosi. Non c’è nessun potere o autorità – da quella politica a quella giudiziaria passando per l’informazione – che non puzzi di falso, di ipocrita, di menzogna. Lenin si chiedeva «che fare? Da dove partire?» e Solženicyn qualche anno dopo gli rispondeva: «vivere senza menzogna». Oggi viviamo e ci siamo adagiati nella «docile menzogna quotidiana», vi partecipiamo come sudditi fedeli. E siamo soddisfatti non perché pieni d’amore ma perché pieni d’odio da riversare su altri.

Ma anche se la menzogna, l’odio, l’efferatezza delle parole parlate e scritte ricopre ogni cosa, anche se dominano dappertutto, dobbiamo, abbiamo il dovere, abbiamo l’obbligo di RIFIUTARCI a partecipare. Ed è proprio qui che si trova la chiave del cambiamento della nostra società. Ci sono programmi televisivi «gogna», spengo la tv o cambio canale; ci sono social che veicolano odio e menzogne, ci esco o blocco l’interlocutore. NON PARTECIPO.

Il suicidio per «gogna mediatica» della signora Pedretti non è il primo caso. Tiziana Cantone, Alberto Re, Vincent Plicchi e molti altri che si sono suicidati dopo le «gogne social», che si sono suicidati «per gogna pubblica» nel corso di questi ultimi anni senza che nessuno dei colpevoli sia stato poi condannato dalla giustizia dei Tribunali. E quanti sono coloro che sono morti per il dolore? Eh si! Si può morire per il dolore, per lo stress per il dispiacere causati dalle false accuse, dalla gogna mediatica. Si! Si può morire. Le sofferenze si ripercuotono sul fisico. Questo è indubbio. Così è stato per Enzo Tortora, Gigi Sabani personaggi pubblici ma quanti ‘’anonimi’’?

Allora fa riflettere sulla leggerezza con cui, oggi, si condannano o si assolvono le persone, spesso arrivando anche a distruggere l’altrui vita, ma fa riflettere anche sulla superficialità con cui autoconferendosi patenti di “tuttologi”, sulle reti televisive in programmi che ‘’vivono’’ di share, si sparino accuse e giudizi ai quattro venti su questioni sulle quali si ha ed hanno solamente idee superficiali, da bar si sarebbe detto un tempo, e soprattutto autoproclamandosi «verità giudiziaria».

Questa autopermissione però, contribuisce spesso, a creare un ambiente emotivo di condanna o di assoluzione che non corrisponde necessariamente alla verità dei fatti e creando un danno di immagine alle loro vittime, solo per la smania di ‘’commentare a tutti i costi’’ ed aumentare lo share per rimpinguare le proprie tasche. Forse un po’ più di umiltà non vi guasterebbe e soprattutto non dovreste né si deve confondere il «diritto di critica» con la diffamazione e la diffusione dell’odio.

Ti sia lieve la terra signora Pedretti.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.