La crescente incomprensione tra la realtà dell’esercizio della professione di agricoltore sul campo e le decisioni amministrative centralizzate, sia a Bruxelles che nelle capitali europee, creano una grande incomprensione e, in definitiva, hanno dato vita alla «rivolta degli agricoltori» o meglio sarebbe dire «resistenza degli agricoltori».
Tra le motivazioni della protesta ci sono le politiche europee e più precisamente quelle del «Piano strategico della PAC (Politica Agricola Comune) 2023-2027 ai fini del sostegno dell’Unione» che stanno mettendo in ginocchio l’intero comparto del settore primario, stretto tra vincoli e leggi che il più delle volte costringono i coltivatori diretti e gli allevatori a dover fare delle scelte per tenere in piedi le loro aziende.
Uno dei motivi di protesta è da rintracciare nei regolamenti comunitari, recepiti dallo Stato e dalle regioni, per limitare la produzione di alcuni prodotti. In alcuni casi per eliminarla del tutto, come dimostra il programma di ritiro dei seminativi dalla produzione. Si tratta di una misura inquietante decisa dall’Unione Europea e adottata già da alcuni Stati nazionali, come ad esempio in Italia la regione Emilia-Romagna, che già dal 1° gennaio 2024 ha offerto questa possibilità agli agricoltori della sua regione. Ma di cosa si tratti lo vedremo insieme più sotto.
Vediamo invece perché gli agricoltori devono ‘’togliere’’ una buona parte della produzione agricola? I motivi, indicati dal piano europeo e già recepiti dall’Italia sono principalmente tre:
- contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e il miglioramento del sequestro del carbonio, nonché promuovere l’energia sostenibile;
- favorire lo sviluppo sostenibile e un’efficiente gestione delle risorse naturali come l’acqua, il suolo e l’aria anche attraverso la riduzione della dipendenza chimica;
- contribuire ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi.
Ma contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici è un’utopia, perché i prodotti agricoli da qualche parte bisognerà pure comprarli, quindi, non si capisce a che cosa possa servire questo piano se non a mettere in ginocchio l’agricoltura nazionale e importare gli stessi prodotti che noi scegliamo di non coltivare più. Se poi a questo aggiungi che importare dall’estero e per portarlo da noi il prodotto agricolo devi farlo viaggiare; quindi, non riduci l’inquinamento ma lo aumenti.
L’agricoltura invece ‘’annullarla’’, partendo dal presupposto che «l’agricoltura e l’allevamento siano fonte di inquinamento e causa del cambiamento climatico», andrebbe incentivata con il sostegno nell’utilizzo di prodotti sempre più sostenibili.
Ma questa è una mia opinione. Vediamo invece perché da diverse settimane la rabbia continua a crescere tra gli agricoltori europei.
Hanno iniziato i tedeschi, i polacchi, poi si sono aggiunti gli olandesi, i francesi, i lituani, i rumeni, i greci ed ora anche gli italiani e gli agricoltori di altri paesi dell’Unione Europea. Tutti protestano contro il “Green Deal” e chiedono tutele per l’avvento del cibo sintetico e altro. Ma non solo! Il timore è anche l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea.
Un ruolo centrale nella protesta degli agricoltori è occupato anche dalla guerra in Ucraina. I tagli annunciati dai governi nazionali, infatti, sono finalizzati anche a permettere di garantire il sostegno a Kiev, con l’invio degli armamenti che richiede risorse costanti. Ma più di questo a preoccupare gli agricoltori è soprattutto una futura adesione dell’Ucraina all’Unione Europea: il paese è una vera potenza agricola, soprattutto nella produzione del grano e altri cereali, oltre ai timori degli agricoltori europei soprattutto legati alla ripartizione dei sussidi dell’Unione, che un giorno potrebbe riguardare anche Kiev.
Gli agricoltori europei si sono sentiti quindi «sotto attacco» dall’Unione Europea e abbandonati dalle autorità pubbliche nazionali. Puntano il dito contro l’accumulo di standard europei, l’aumento delle tariffe e la concorrenza sleale sui fondi di aiuto all’Ucraina. Gli agricoltori tedeschi e quelli francesi sono i più attivi e la loro collera non cessa di aumentare. I toni si sono talmente inaspriti in Germania e Francia con i “blocchi autostradali’’ e la ‘’liberazione dai pedaggi’’ nelle autostrade. Adesso i due maggiori movimenti di agricoltori annunciano la moltiplicazione delle azioni “per tutta la settimana e per tutto il tempo necessario” in ciascun Dipartimento francese e in ciascuna Land tedesca Un primo obiettivo in Francia è già stato raggiunto poiché, per cercare di spegnere l’incendio, il governo ha annunciato il rinvio di “qualche settimana” del disegno di legge sull’Agricoltura che deve recepire la direttiva dell’Unione Europea e che doveva essere presentato lo scorso mercoledì al Consiglio dei ministri. In Italia, invece, le proteste hanno visto l’adesione di agricoltori autonomi in diverse città, uniti sotto il Comitato degli Agricoltori Traditi (C.R.A.). Le mobilitazioni finora hanno toccato varie regioni, tra cui Lazio, Umbria, Sicilia, Puglia e Toscana. Sui trattori sventolano bandiere italiane e cartelli provocatori come “Europa assassina”, “L’agricoltura sta morendo” e “Salviamo il nostro cibo”.
Ma vediamo cosa chiedono gli agricoltori all’Europa e perché il movimento di protesta di gennaio potrebbe essere solo all’inizio. Ecco le ragioni della rabbia del mondo agricolo europeo.
Le proteste degli agricoltori hanno preso di mira le politiche agricole dell’Unione Europea. Le loro richieste includono revisioni dei sussidi, prezzi all’ingrosso equi e opposizione alla carne sintetica. Ma anche il rifiuto di cibi a base di insetti e una critica verso l’uso dei terreni produttivi per impianti fotovoltaici.
Particolare rilievo per gli organizzatori delle proteste ha avuto l’obbligo di mantenere incolto il 4% dei terreni seminati sopra i 10 ettari. Legge che entra in vigore proprio dal 2024 e che ha sollevato non poche perplessità tra i coltivatori di grano e mais. Gli agricoltori chiedono misure d’emergenza per sostenere la loro attività e lamentano bassi redditi e oneri amministrativi eccessivi. Pesano l’aumento delle accise sul GPL e l’abolizione di aliquote ridotte per i camion agricoli. Gli operatori agricoli alzano la voce per denunciare lo stato di crisi del comparto agricolo e delle partite Iva per denunciare la mancanza di interesse della politica nazionale di fronte a questa immane crisi economica che ha portato all’emigrazione di oltre un milione di giovani negli ultimi due anni. Gli operatori agricoli inoltre temono di essere le prime vittime delle trattative tra «produttori» e «distributori» alimentari che si concludono il prossimo 31 gennaio. Loro, gli agricoltori, chiedono che siano i governi nazionali a proteggere il costo delle materie prime agricole e varare una legge che obblighi il settore industriale a pagare di più gli agricoltori e risarcimenti più veloci per i disastri naturali.
Il rifiuto del “Green Deal” dell’Unione Europea.
Nonostante i buoni rendimenti, è il calo dei prezzi e il mantenimento di tariffe elevate che hanno ridotto il reddito dei coltivatori di cereali, gli operatori credono che andranno a ‘’scontrarsi con il muro” con la nuova strategia di riduzione dei pesticidi Ecophyto 2030, con la condivisione dell’acqua e con l’aumento graduale della tassazione sul diesel non stradale (diesel agricolo), che colpirà anche il mondo delle imprese di costruzione, unitamente ad altre imposte legate all’ecologia.
Altro motivo di rabbia degli agricoltori: la strategia greening decretata dall’Unione Europea. L’Italia è al terzo posto dei beneficiari della Politica Agricola Comune (PAC), è preceduta da Germania mentre la Francia è al primo posto, con aiuti pagati ogni anno. Gli operatori agricoli contestano però con forza un elemento centrale del “Green Deal” dell’Unione Europea: un progetto legislativo volto a dimezzare l’uso di prodotti chimici fitosanitari entro il 2030 (rispetto al periodo 2015-2017) e con l’obiettivo di raggiungere le net zero emissioni entro il 2050, riducendo le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030. Misure che, secondo gli agricoltori, avrebbero un effetto troppo punitivo sul settore. Ed è contro questo testo, che è stato già respinto una volta dal Parlamento europeo alla fine di novembre ma vi è dimostrato interesse a ripresentarlo sotto altra forma, che gli agricoltori temendo una sua nuova presentazione e adozione vogliono far sentire la loro voce prima delle elezioni europee di giugno.
Gli agricoltori europei denunciano anche il rifiuto di Bruxelles di prorogare fino al 2024 l’esenzione che consente la coltivazione dei terreni incolti (circa il 4% delle terre agricole) mentre permane la tensione alimentare di ‘’concorrenza sleale’’ causata dalla guerra in Ucraina che ha completamente sconvolto i prezzi delle materie prime in Europa: il costo dell’energia è esploso, i costi dei fattori produttivi sono aumentati, così come quelli della manodopera e dei mangimi. Inoltre, la guerra in Ucraina sta interrompendo i flussi con enormi importazioni in Europa di cereali, pollame o zucchero con sistemi di produzione vietati negli Stati nazionali, sconvolgendo così tutti i settori e abbassa i prezzi. La negoziazione dei trattati di libero scambio (Mercosur) unita all’imposizione di misure restrittive alimenta l’esasperazione, anche se i fattori scatenanti sono diversi a seconda dei paesi europei: il calo del bestiame nei Paesi Bassi, la tassazione sul carburante in Germania, Francia e Italia.
Altro oggetto del contendere: diversi dossier tecnici relativi alla conservazione dei prati e una nuova mappatura europea delle torbiere e delle zone umide che avrebbe un impatto sullo 0,3% della superficie agricola utilizzabile nei paesi europei e fino al 30% in Italia.
In un difficile contesto di transizione climatica, uno dei pilastri della rabbia nel mondo agricolo è l’accumulo di standard ambientali. Il disagio fisico ha progressivamente lasciato il posto al disagio morale, dovuto in particolare all’adozione di regole e norme sempre più pesanti per loro da sopportare. Manca la semplificazione amministrativa. Gli agricoltori per troppe norme, lacci e laccini, non sanno più nemmeno cosa hanno il diritto di fare o no e non si sentono adeguatamente sostenuti dai propri governi nazionali di fronte alle sfide climatiche, geopolitiche e sanitarie. A questi vincoli si aggiungono compensazioni ritenute “troppo tardive” per i settori in crisi (viticoltura, allevamento), rovinano la “attrattiva” di cui il settore ha bisogno per rinnovare gli operatori che lasciano l’agricoltura per la pensione.
LA RISPOSTA UE
La risposta dell’Unione Europea alle proteste è ancora in fase di sviluppo. Il commissario Ue per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, il polacco Janusz Wojciechowski, ha assicurato che la voce degli agricoltori sarà ascoltata, soprattutto per quanto riguarda il futuro della politica agricola comune, con un focus sulla sicurezza alimentare.
In attesa delle elezioni di giugno 2024, quello agricolo potrebbe diventare un terreno fertile per coltivare intese politiche inedite. E la sovranità alimentare potrebbe diventare un concetto intorno al quale testarle, trasformandosi da «critica del sistema» a «tattica» per mantenere lo status quo: produrre di più, come del resto è sempre stato fatto.
Marco Affatigato