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L’opinione: ma in quale società viviamo? Grande Riccardo Muti, maestro e magistrale!

In una intervista al “Corriere della Sera”, il Maestro Riccardo Muti, con eleganza ed educazione, ha fatto a pezzi il “politicamente corretto”, dall’immigrazionismo al #MeToo; ha denunciato la maleducazione imperante e tante altre (chi può vada a leggersi l’intervista e vi troverà una boccata d’ossigeno culturale e sociale). Il Maestro dice di essere stanco e lo capisco perché anch’io sono stanco di questo che è «un mondo in cui non mi riconosco più». Da credente, non pensa certo al suicidio, come invece altri hanno pensato e affrontato. Ma le sue parole ricordano una verità negata dal pensiero dominante.

Riccardo Muti è una delle poche glorie dell’Italia contemporanea. Qualche tempo fa ha concesso al Corriere della Sera un’intervista-bomba, che merita diverse riletture e riflessioni.

Il maestro, con semplicità e garbo, fa a pezzi il politicamente corretto, dall’immigrazionismo di cui ha detto: «Rimpiango la serietà. Lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: “Intrent securi qui quaerunt vivere puri” (Entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente). Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe» al Metoo, con secche parole: «Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista”: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima… C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro».

In un mondo nel quale i neo-laureati, quando escono male, prendono un 110 (la norma è la lode), il Maestro Muti elogia la pazienza e l’umiltà della gavetta: «La direzione d’orchestra è spesso diventata una professione di comodo. Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione».

Sui dibattiti denuncia, da par suo, la maleducazione fatta norma: «Riesco a seguire un contrappunto in otto parti musicali che si intersecano una con l’altra, ma non riesco a capire due persone che si parlano una sull’altra. Creano disarmonia, cacofonia».

Ha il coraggio di inorridire di fronte a quella pratica barbara e insulsa degli applausi in chiesa: «Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c’era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. I primi applausi li ricordo ai funerali di Totò e della Magnani, ma erano riconoscimenti alla loro capacità di interpretare l’anima di Napoli, di Roma, della nazione. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi».

Ma, soprattutto, ha pronunciato queste parole:

«E mi sono stancato della vita. Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”».

Tranquilli, non pensa al suicidio. Più volte Muti si è dichiarato credente, educato al cattolicesimo da genitori profondamente credenti. Semplicemente, vivere in questo mondo in declino non gli interessa più e, come ha dichiarato, aspetta «il suo turno».

Questa affermazione mi ha colpito molto perché non è la prima volta che la leggo o la sento. Uno storico e intellettuale francese, mio conoscente, Dominique Venner, decise di andarsene con un gesto plateale: nel 2013 si suicidò all’altare di Notre Dame di Parigi lasciando una frase: «Serviranno certamente gesti nuovi, spettacolari e simbolici per scuotere i sonnolenti, le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini». Il suo gesto in quel “luogo sacro” avrebbe dovuto essere inteso come “gesto sacrilego” e far ribenedire la Cattedrale… ma hèlas, anche i riti sacri si sono persi in questa società sacrilega.

Certamente come me anche voi avrete spesso sentito o letto frasi simili a questa: “In un mondo così, non so se voglio vivere, non so se valga la pena vivere”. Un mondo nel quale vige una censura di fatto e non è più possibile esprimersi liberamente; nel quale vengono praticati dei trattamenti sanitari obbligatori su larga scala e le persone sono trattate come cavie; dove è vietato incontrarsi, abbracciarsi, radunarsi; nel quale si ha un’unica certezza, che il futuro sarà peggiore del presente. Un mondo falso, volgare, materialista nel quale la «nuda vita» vale più della libertà.

Eppure, è un mondo che viene magnificato come «il migliore dei mondi possibili», senza frontiere, senza discriminazioni, senza identità, senza religioni… un mondo “perfetto”, nel quale, però, forse, non è interessante vivere. Ma tutti i giorni CI dicono che dobbiamo rassegnarci: questa è la «nuova normalità».

Il mondo non può tornare ad essere quello di prima (sporco, poco tecnologico, poco attento all’ambiente…), lo slogan è «build back better», tiqqun ‘olam, perfezioniamo il mondo, ricostruiamolo meglio di come era.

Però, a quanto pare, a qualcuno il mondo piaceva più com’era prima.

Al maestro Muti senz’altro. Anche a me. Evidentemente, la vita era più bella.

Marco Affatigato

Riguardo l'autore

Marco Affatigato

nato il 14 luglio 1956, è uno scrittore e filosofo laureato in Filosofia - Scienze Umane e Esoteriche presso l'Università Marsilio Ficino. È membro di Reporter Sans Frontières, un'organizzazione internazionale che difende la libertà di stampa.

Nel 1980 la rivista «l’Uomo Qualunque» ha pubblicato suoi interventi come articolista. Negli ultimi anni, ha collaborato regolarmente con la rivista online «Storia Verità» (www.storiaverita.org) dal 2020 al 2023.