Siamo tutti grandi e carichi di delusioni, di vita pubblica e privata, ma questo ci sta, fa parte del gioco della vita.
Da tanto deriverebbe la conclusione che non prestiamo più fede alle sirene incantatrici delle campagne elettorali, e così è stato durante l’ultima tornata delle politiche, nel 2022. Disincanto e stanchezza l’hanno fatta da padroni, ma senza dismettere attenzione e curiosità.
Che Giorgia dagli occhi blu avesse puntato da sempre su alcuni temi di impatto è noto: no all’immigrazione selvaggia, no al politicamente corretto di “sinistra” concezione, rivalutazione delle attività italiane, corsia preferenziale nel dialogo con paesi di tendenza affine come l’Ungheria, correzione di rotta del folle percorso green, per citarne solo alcuni, considerando che la guerra ucraina era già iniziata da febbraio.
Non siamo partiti pregiudizialmente e abbiamo pazientemente atteso che trascorresse il tempo giusto per fare un primo bilancio.
All’attivo abbiamo solo la constatazione che la destra ispirata all’impostazione originaria, anche solo per sommi capi, esprime cultura e preparazione istituzionale maggiore di quella di fazione opposta
Per chi, come chi scrive, è attento alla cronaca, è stato illuminante seguire il percorso della Commissione sulla sparizione delle ragazze Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Partita da premesse selvagge piddin/cinquestellate, che promettevano di smascherare chissà quale marcio cattolico, come da suggerimento della serie cristianofoba/hollywoodiana “Vatican girl”, la commissione, guidata impeccabilmente dal senatore di FDI Andrea De Priamo, ha presto dovuto constatare l’inutile sforzo di un consesso spinto dal precedente governo, ma ostacolato (giustamente) da Maurizio Gasparri come assolutamente esorbitante rispetto ad altre priorità governative, con uno scopo teso a invadere il terreno della magistratura ordinaria.
Meloni, dal canto suo, dopo l’esordio da premier con l’agenda settimanale e gli short di spiegazione delle iniziative del nuovo esecutivo, ha presto abbandonato il proscenio, risucchiata dagli abbracci con il buffone di corte Volodymyr, in nome della solidarietà al quale ha rifiutato l’adesione alla “via della seta”, il che ha inferto il colpo di grazia ai desolati porti italiani a favore di quelli nordeuropei; e aumentato le spese di armamenti per foraggiare un conflitto che si trascina, perso in partenza contro la Russia, senza che in cambio arrivi all’Italia un minimo vantaggio.
Né meglio si può dire della prona adiacenza dimostrata il 7 ottobre 2023 dinanzi allo scacchiere mediorientale, che avrebbe comportato riflessione e maggiori doti di mediazione in modo che, quantomeno, sull’esempio dei vituperati governi della prima repubblica, derivasse un afflusso di sostegno dallo zio Sam, svigorito dalla gestione Biden, fortunatamente al tramonto, ma ancora in grado di far danni ai coloni deboli come lo Stivale.
L’immigrazione si è dimostrata per quel che era: nella maggioranza dei casi, serbatoio di rivendicazione finto antagonista, pronta a scagliare i nuovi venuti, più sfruttati ed esposti che mai, nella mischia dell’agone italiano, vittime di un sogno non realizzato. E, da quel che si vede per le strade, i centri di accoglienza straripano.
Se qualche azione dimostrativa ha gettato fumo negli occhi, ci riferiamo ai raid anti-rave e all’introduzione delle nuove norme sulla maternità surrogata, la tanto attesa svolta per ora non è all’orizzonte. Gli alleati, più che tali, si mostrano sentinelle dell’amicizia col PD, nel caso di Forza Italia, e perditempo con ambizioni centrifughe nel caso della Lega, che fa sprecare energie preziose in progetti di autonomia differenziata, oggi basati sul nulla.
Infatti il nostro paese non ha ancora deciso cosa vuol fare da grande: un territorio unito e coeso, liberato da gineprai di leggi inutili e vessatorie per il cittadino, o una girandola di enti impazziti, come su una cartina geografica del Medio Evo?
Carmen Gueye