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Il Post It: L’Abbaglio, Sant’Ermete e Ventotene.

Questo fine settimana, nel cinema del paese dove vivo, proietteranno l’ultimo film di Ficarra e Picone con Toni Servillo: l’abbaglio. Sicuramente lo andrò a vedere. Mi piace andare al cinema. Per quelli della mia generazione, di noi ragazzi nati tra la campagna e la periferia nella metà degli anni 50, il cinema era il rito della domenica pomeriggio poiché a 14 anni eravamo troppo piccoli per il dancing, le sale da ballo di allora, ma troppo grandi per continuare a giocare a nascondino. Il cinema, dunque! Il cinematografo del paese dove proiettavano le seconde, ma anche le terze, visioni ed il biglietto costava poco più di un cono gelato.

In quelle poltroncine abbiamo conosciuto i primi amori, i primi baci, ma anche le prime sigarette regalandoci un po’ di tosse cattiva insieme alla sciocca illusione di essere già grandi. Oggi pagherei perché una qualsiasi alchimia mi regalasse la magia di ritornare un ragazzino. Dice che sia un pensiero comune per noi di una certa, come si usa dire al mondo di oggi, lo diceva mio padre e lo ripeteva mio nonno. Oggi tocca a me. C’est la vie, direbbero i francesi con l’aria snob e la puzzetta sotto il naso, ovvero i tratti distintivi del popolo gallico, è una bidonata replico nel mio pisano di Sant’Ermete non propriamente uscito dalla Crusca.

Ripenso spesso alle mie ambizioni giovanili: a 7 anni, con una fionda in mano, credevo di conquistare tutta Sant’Ermete invadendo successivamente la città di Pisa; a 10 eravamo una piccola banda di mascalzoncelli allenati nel rompere i vetri col pallone, ma senza nemici da combattere ci prendevamo a botte tra di noi. Eravamo sempre insieme senza mai essere d’accordo. Analogie, segnatevi questo passaggio.

Così andrò a vedere il film l’abbaglio. Non conosco la trama se non che sia una rivisitazione dello sbarco dei mille. Temo nell’ennesima fregatura storica ma il titolo, l’abbaglio, mi intriga molto. Se il titolo, nonché il film, rispecchiasse la realtà dei fatti, l’abbaglio esplicita la visione distorta dei meridionali nell’aver creduto negli aguzzini come liberatori. Perché è così che avvenne.

Ma la storia, come ripeteva il buon Aristotele, è scritta con le bugie di chi ha vinto. Infatti ci hanno fatto credere che un gruppo di mille uomini abbiano conquistato il Regno delle Due Sicilie, ma nessuno cita il corrotto ammiraglio borbonico il quale, nottetempo, ordinò di trasferire tutte le navi della flotta a Malta; nessuno indica le centinaia di comandanti anch’essi foraggiati dal grande corruttore, ossia quel Camillo Benso conte di Cavour vero grande Richelieu della politica savoiarda nel 800. Ragioniamo: se i garibaldini fossero stati solo in mille, a Marsala, con quattro schiaffi sarebbero tornati di volata a Bergamo. Sic et sempliciter.

Repetita iuvant, 85 anni dopo, da quel 11 maggio del 1860, ci hanno fatto credere, oppure dato da bere, la novella di 3 partigiani in croce capaci di fermare un convoglio di 250 soldati armati fino ai denti. L’Italia è una fabbrica di Rambo e non lo sapevamo, ma più di Rambo una fucina di bugiardi. Ventotene ricorda il mio ardore giovanile, quando volevo diventare il capo di Sant’Ermete, armato di una fionda e tre amici a compagnia con i quali, in mancanza di nemici, facevamo a botte tra di noi perché ognuno ambiva a diventare il capo supremo.

Imitavamo, senza saperlo, Altiero Spinelli negli alterchi con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni perché pure quest’ultimi, come il sottoscritto, avrebbero desiderato il potere. Io con la fionda, loro con i mitra. Per farmi desistere dalle velleità belliche bastarono due sculaccioni di mia mamma, per loro fu sufficiente Alcide De Gasperi insieme a Schuman, Monnet, Adenauer e Paul Henry Spaak i quali, del Manifesto rivoluzionario ed antidemocratico di Ventotene, se ne sbatterono.

Marco Vannucci