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Cultura

Rebibbia: Alemanno e il diario di cella preziosissimo

Mangiare e dormire, defecare e rilassarsi, tutto negli stessi metri quadri, con un fornelletto e delle brande a castello per posti 6/9: insomma, l’esperienza a Rebibbia non è esattamente una vacanza, sta a metà tra la caverna e il campeggio, come descrive Gianni Alemanno nel suo Diario di Cella, che ha già il destino di tenere con il fiato sospeso gli italiani.

Sono tanta roba, quelle pagine, che non potete non leggerle. Non potete non leggerle almeno per il rispetto di quelle 8 mila persone su 60 mila che sono dentro il carcere ma che non sanno nemmeno se se lo meritano, perché non hanno ancora una sentenza appiccicata addosso. Roba italiana, insomma.

Meritano di essere lette perché una nazione, la vedi nel suo onore, nel modo in cui tratta i peggiori dei peggiori, ovvero i colpevoli di reati: il braccio dove sta Alemanno è dei migliori, ci sono persone capaci di gesti di amicizia, di fratellanza, di solidarietà. Gli altri? C’è una comunità dentro, che non ti aspetti, che il politico sta descrivendo, con la fortuna di poterlo fare, riportandolo in cronaca diretta ai lettori.

Fatto sta, volenti o nolenti, che essere prelevati alla vigilia del Cenone, senza tempo per riflettere, per un sospetto di reato e per una violazione diciamocelo, non proprio così orribile, in un giorno in cui a Mezzanotte è normale essere fuori da casa, ecco, lascia pensare molto dei due pesi e due misure che si applicano a spron battuto in Italia, dove a stento di mettono in carcere gli assassini di mogli, ex, amanti ma se si deve intervenire preventivamente su qualche politico, allora si corre.

Rendiamo merito a chi ci consente di continuare a denunziare che i minori sono soggetti a pene carcerarie schifose, che chi si è macchiato di reati contro il patrimonio o contro lo Stato viene mescolato con chi violenta, picchia, ammazza e che chi non ha imparato il crimine, se non è di un cervello di ferro, esce peggiore di prima, perché non ci siamo ancora chiariti su come dovrebbe essere un carcere: non sovraffollato, dignitoso, elevato per rialzare chi cade, destinato alla rieducazione e non all’uccisione del cuore della gente.

Alemanno, nel Diario di Cella, ci scrive che la sua comunità, lì dentro, sta diventando un punto di riferimento, e così abbiamo una testimonianza per batterci per quella riduzione della pena del 10% per coloro che hanno una condotta buona, che hanno reati inferiori, che si sono ripresi e sono tornati ad essere buoni cittadini, che meritano di non stare in un ghetto che non considera i diritti umani, oppure, costruiamo carceri più adeguate a una società elevata, che considera il carcerato uno che ha sbagliato e non uno che non merita niente.

Martina Cecco

Riguardo l'autore

martinacecco

Giornalista e blogger. Collaboro con il web in rosa di Donnissima. Dirigo Secolo Trentino e Liberalcafé. Laureata in Filosofia presso l'Università degli Studi di Trento. Collaboro con un Progetto sperimentale di AI. Sto frequentando un master breve (Scuola di Liberalismo 2025) presso la Fondazione Luigi Einaudi.