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Il cuore di Nino.

Voglio che gli italiani siano a letto presto! Così sentenziò un ducetto del tempo, una sorte di leghista ante litteram, proibendo la diretta televisiva dell’incontro. Il ducetto rispondeva al nome di Giovanni Spagnolli, il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni; l’incontro, il titolo della corona mondiale di boxe della categoria pesi medi, tra il nostro Nino Benvenuti e lo statunitense Emile Griffth. Era il 17 aprile 1967, il match si sarebbe svolto al Madison Square Garden di New York, considerato il tempio del pugilato, alle 4 del mattino ora italiana. A letto presto! Sbraitò il Ministro, impedendo di vedere uno spettacolo attesissimo in diretta. Fu grazie all’intervento di Aldo Moro, allora Presidente del Consiglio, la RAI dispose la registrazione televisiva, a cura di Paolo Rosi e trasmessa la sera seguente, ma soprattutto la diretta radiofonica di Paolo Valenti.

Quest’ultimo predestinato a succedere a Maurizio Barendson alla conduzione di “Novantesimo minuto”.  Mezza Italia puntò la sveglia quella notte, ben 18 milioni di radioascoltatori con la radiolina giapponese a transistors incollata alle orecchie. Nino, Nino, gridavano gli italiani di Little Italy presenti al Madison, Nino, Nino! E Nino fu. Veloce, leggero, sfoggiando una classe infinita. Sicuramente il migliore pugile italiano di tutti i tempi, così scrisse il Direttore Marino Bartoletti nelle pagine del suo giornale in occasione degli 80 anni del Campione, sicuramente pure uno tra i pugili più eleganti e tecnici al mondo, mi permetto di aggiungere. Di fronte agli oltre 14.000 spettatori paganti del Madison, nonché ai 18 milioni di italiani calcolati alla radio, Nino Benvenuti sfoggiò tutti i segreti della noble art in un incontro durissimo giocato sulle 15 riprese. Fu una battaglia infinita tra due grandi guerrieri del ring. Vinse Nino ai punti con verdetto unanime (10 riprese a favore su 15). L’Italia rialza la testa in America, così titolò la rosea in edizione straordinaria. Grazie alla sua tecnica sopraffina, Nino Benvenuti, aveva conquistato il mondo. Ma anche grazie al suo cuore.

Nino aveva il cuore grande, un cuore da Campione pronto ad aiutare l’antico rivale, Emile Griffth, quando questi oramai vecchio, e con gravi problemi di salute, cadde in disgrazia economica. Il cuore di Nino. Lui Istriano di Isola, oggi Stato della Slovenia, nato il 26 aprile 1938 e scampato alla furia titina delle foibe. E’ stato un fiero testimone di quei fatti criminosi per tutta la vita. Fu deriso poiché nessuno sapeva e chi ne era a conoscenza manteneva il segreto ben nascosto, fu oltraggiato, contestato. Vidi la sconfitta di Nino contro Monzon al circolo ARCI di Sant’Ermete, i compagni si abbracciarono tra loro quando Nino andò al tappeto. Ma sopra quel quadrato, Nino Benvenuti, vinse la medaglia d’oro olimpica a Roma nel 1960, fu campione mondiale dei pesi superwelter, campione europeo e campione mondiale dei pesi medi.  Nel 1968 vinse il prestigioso premio di Fighter of the year, unico italiano ad aver conseguito tale riconoscimento. Sopra quel tappeto, Nino, gridò a tutti la verità fin ad allora nascosta: la verità sulle foibe e dei massacri comunisti. Fa buon Cielo, Campione.

Di seguito si riporta lo stralcio di un’intervista a Nino Benvenuti pubblicata sul Il Giornale qualche tempo fa:

“Ci chiamavano esuli, come se venissimo da chissà dove, ma noi eravamo italiani, io – dice – sono stato un privilegiato perché la boxe mi ha salvato”. L’attimo dopo s’inginocchia, come in preghiera, e bacia il tappeto con devozione. Quel quadrato non è solo il ricordo di una stagione fortunata, ma è anche una patria. È tutto ciò che gli è stato strappato e negato. La famiglia Benvenuti, padre, madre e cinque figli, è dovuta scappare da Isola d’Istria (oggi Slovenia) nel 1947. A guerra finita, perché non si poteva continuare a vivere nel terrore. Erano gente benestante i Benvenuti, avevano una bella villa, campi e vigne. Un giorno un graduato vide quegli averi e li desiderò per sé. Così ordinò che venissero requisiti. “Vennero a dirci che dovevamo fare i bagagli e andarcene perché un alto ufficiale aveva messo gli occhi sulla nostra casa e ci si voleva trasferire”. I Benvenuti non osano protestare e salutano l’Istria per sempre, direzione Trieste.

“Non ci ribellammo – ricorda – per timore delle conseguenze, voi non immaginate cosa significasse mettersi contro quella gente”. I Benvenuti non vogliono più guai. Hanno già trascorso sette mesi di pene per il rapimento del figlio maggiore, Eliano, di 17 anni, claudicante per via della poliomielite. “Non si è mai capito perché lo portarono via, io ancora me lo domando, di noi fratelli era il più buono, il più diligente e il più fragile”, dice Benvenuti. “Le guardie dell’Ozna, la polizia politica di Tito, lo prelevarono senza darci spiegazioni”. Per i Benvenuti, quel giorno segna l’inizio di un incubo che non si è ancora interrotto. “I ricordi ogni tanto riaffiorano, durante la notte, in un momento particolare della giornata”, ci confida Nino sprofondando la testa tra le mani. È come se gli stesse passando la vita davanti. Rivede quelle scene. Le racconta con la voce incerta, commossa. “Quando fecero irruzione in casa ci si gelò il sangue, era come se la nostra abitazione fosse diventata l’epicentro di un ciclone, mamma Dora non si riprese più da quello choc”.

Marco Vannucci