Col suo inamovibile veto sul nome dell’economista Paolo Savona, il presidente Mattarella ha quest’oggi determinato l’aborto politico del «governo delcambiamento», ponendo anzitempo fine al tentativo, da parte del professor Giuseppe Conte, di formare l’esecutivo gialloverde. Una scelta che l’inquilino del Quirinale ha fatto – secondo quanto appena dichiarato da lui stesso agli organi di stampa – per il bene dell’Italia, altrimenti avviata ad un’uscita dall’Euro che sarebbe disastrosa per l’economia, per le imprese e per i risparmiatori. Ora, pur nel rispetto dovuto all’istituzione quirinalizia, risulta difficile non cogliere nella decisione di Mattarella diversi errori. Tre, almeno.
Il primo sta nel fatto che l’uscita dall’Euro – processo che per anni è stato aprioristicamente dipinto come tortuoso e impraticabile, mentre ora pare basti nominare un economista non eurofilo per avviarlo – non era nel programma «governo del cambiamento» e, ad ogni modo, mai sarebbe stata possibile considerando quanto il Movimento 5 Stella abbia, non da oggi, abbandonato la linea antieuropeista. In altre parole, la bocciatura di Savona da parte di Mattarella non soltanto ha un sapore politico più che istituzionale, ma si configura come un vero e proprio processo alle intenzioni rispetto ad un esecutivo che, come Giuseppe Conte aveva apertis verbis dichiarato, si sarebbe mosso nella cornice europea.
Un secondo errore il Presidente della Repubblica lo ha commesso nella misura in cui, nella sua dichiarazione, ha evocato gli interessi dei risparmiatori e delle imprese, che dall’uscita dell’Euro – ha sostenuto – uscirebbero profondamente lesi. Peccato che non solo senza l’uscita dall’Euro, ma proprio sotto governi che seguivano pedissequamente le direttive di Bruxelles, dal 2011 ad oggi innumerevoli imprese e risparmiatori italiani (di quelli stranieri ci permettiamo, qui, di disinteressarci) siano stati rovinati. Si potrà obiettare che, senza l’Euro, le cose sarebbero potute andare pure peggio, ma è una riposta che, a parte il fatto di essere di natura ipotetica, difficilmente risulterebbe ascoltata da migliaia di imprenditori e, soprattutto, di risparmiatori.
Un terzo errore, infine, l’inquilino del Quirinale lo commesso nella misura in cui esercitando un veto già di per sé opinabile (è vero che il Presidente della Repubblica nomina i ministri proposti e non imposti, ma la discrezionalità esercitata pare irrituale oltre che, lo si è appena detto, basata su motivazioni non proprio inattaccabili), ha di fatto dato un formidabile input politico all’antieuropeismo, che se da un lato non era stato il protagonista delle ultime elezioni, dall’altro rischia di diventarlo nelle prossime coi partiti sovranisti che ora, in caso di elezioni anticipate, rischiano – come temuto da veterani della politica del calibro di D’Alema – di incassare percentuali bulgare dinnanzi alle quali Mattarella sarebbe, istituzionalmente parlando, quasi con le spalle al muro.
In altre parole, se la volontà del Quirinale era quella di evitare certi scenari, col veto su Savona (e la scelta di chiamare Cottarelli) quegli stessi scenari risultano non solo appena rinviati, ma addirittura aggravati. Anche perché nella misura in cui gli elettori, dinnanzi a quanto accaduto, stanno finendo col percepire limitata la loro sovranità – di cui, giova ricordarlo, sono i titolari -, è facile prevedere che da una parte rivoteranno con maggior determinazione i già citati partiti sovranisti e, dall’altra, ridimensioneranno ancor di più quelli, Forza Italia e Pd su tutti, che potrebbero tranquillizzare l’Unione europea. Morale della favola, a fronte di una situazione già tesa, dopo la mossa odierna del Presidente della Repubblica essa è destinata a surriscaldarsi. E proprio nella direzione opposta a quella sperata da Mattarella.