Dopo settimane di dichiarazioni, interviste e ultimatum, finalmente i lavori dell’Eurogruppo si concludono con un accordo economico teso a fronteggiare l’emergenza Coronavirus basato su quattro pilastri principali.
Le trattative non sono state immuni da tensioni e dissapori: ne è testimonianza la riunione di ieri (9 aprile) che, prevista per le 17, è stata poi rimandata di ora in ora nella speranza di giungere ad un accordo definitivo da portare sul tavolo. Riunione che, peraltro, è seguita a quella di due giorni prima durata 16 ore e conclusasi con un nulla di fatto.
I leader e i ministri economici dei principali paesi si dicono soddisfatti dell’accordo raggiunto: “i quattro pilastri”
Sottolineano come questo sia il frutto delle mediazioni tra le diverse posizioni, in particolare quelle di Italia e Olanda. Quali sono quindi questi quattro pilastri principali e quale ruolo avranno nel fronteggiare la crisi?
Il primo, sicuramente il più dibattuto, è quello del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Il cosiddetto Fondo salva-stati è stato in parte privato della logica con il quale era nato ed è stato reso più funzionale al fronteggiamento della crisi. Si tratta infatti della possibilità di ricorrere ad una linea di credito “disponibile per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro durante questi periodi di crisi, con condizioni standardizzate concordate in anticipo dagli organi direttivi del MES, che riflettano le sfide attuali, sulla base di valutazioni iniziali delle istituzioni europee”.
L’unico requisito per accedere a questa linea di credito è che il paese che ne voglia usufruire si impegni ad utilizzare tali fondi per le spese sanitare dirette e indirette legate al COVID-19. La capacità massima del finanziamento sarà pari al 2% del PIL nell’anno 2019 del paese richiedente: ciò significa che l’Italia potrebbe ricorrervi per un importo massimo di circa 35 miliardi.
Ma “l’Italia non ha deciso di fare ricorso al MES”
Lo sottolinea il ministero dell’Economia, affermando che nel vertice di ieri si sia solo concorso “a definire un rapporto che prevede la possibilità di istituire quattro nuovi strumenti per affrontare la crisi del COVID-19”.
Il “Recovery Fund”
Il secondo pilastro, anch’esso oggetto di un’infuocata discussione, è rappresentato dal Recovery Fund, un fondo di recupero per preparare e sostenere la ripresa, che fornisce finanziamenti attraverso il bilancio UE per attivare programmi che rilancino le economie.
In realtà, l’accesa discussione non riguarda il Recovery Fund in sé, bensì l’argomento che aleggia attorno a questo strumento: la mutualizzazione del debito. Italia e Francia, infatti, chiedevano che l’Europa emettesse i cosiddetti “coronabond”, ovvero debito comune condiviso da tutti gli Stati, affinché con i finanziamenti ricevuti si potesse fronteggiare la crisi e condividere il rischio in solido. Non è questa la sede per spiegare gli eventuali pro e contro di una mutualizzazione del debito, ma il risultato finale cui si è giunti è appunto questo Recovery fund. Che però non sono gli Eurobond.
Tuttavia, non è ancora chiaro come verrà finanziato questo fondo. Il ministro Gualtieri e il suo collega francese Bruno Le Maire sostengono che tale fondo sarà “alimentato dall’emissione di debito comune europeo” e che, seppur non si menzioni l’accordo di mutualizzazione del debito, essa sia un’ipotesi “implicita” nel testo.
Ma questa, ad oggi, rimane un’ipotesi tutta da verificare, come lasciano intendere anche le parole del presidente dell’Eurogruppo Mario Centeno secondo cui “le modalità di finanziamento e le dimensioni del Fondo saranno decise direttamente dai leader”. In aggiunta, tale Fondo sarebbe “temporaneo, mirato e commisurato ai costi straordinari dell’attuale crisi”.
Altro pilastro delle contromisure europee riguarda il “SURE”
Lo schema di cassa integrazione e assicurazione per i lavoratori europei che possono perdere il loro lavoro a seguito della crisi epidemica.
Questo strumento fornirà assistenza finanziaria durante il periodo della crisi sotto forma di prestiti concessi a condizioni agevolate dall’UE agli Stati membri, con una dotazione fino a 100 miliardi basata il più possibile sul bilancio dell’UE: lo scopo è dare sostegno agli sforzi nazionali per proteggere i lavoratori e l’occupazione, nel rispetto delle rispettive competenze in ambito di sicurezza sociale.
L’ultima misura a chiudere il pacchetto è quella proposta dalla Banca europea per gli investimenti (Bei)
L’iniziativa riguarda la creazione di un fondo di garanzia pan-europeo di 25 miliardi di euro, capace di sostenere un valore di circa 200 miliardi di euro di finanziamenti per le imprese, soprattutto PMI, passando anche attraverso le banche promozionali nazionali.
Quindi qual è l’importo finale? E quanto verrà destinato all’Italia?
Se sommiamo tutte le risorse impegnate in ciascun strumento ci troviamo sicuramente di fronte alla misura più costosa mai varata dall’Unione Europea; “un pacchetto senza precedenti” come sostiene Paolo Gentiloni. Tuttavia, siccome il Mes (pur privo di condizionalità, come annunciato ieri al termine del vertice Ue per i soli usi medici e sanitari) non verrà quasi sicuramente approvato in Italia, quest’ultima potrebbe avere solo poco più di 52 miliardi di euro.
Sarà dunque in grado questo accordo in grado di attenuare gli effetti della crisi? L’economia riuscirà a ripartire in maniera consistente e nel minor tempo possibile? I cittadini saranno tutelati dalle istituzioni? Tra le buone intenzioni manifestate e qualche genericità di troppo nelle misure adottate, solo il tempo ce lo saprà dire.
di Federico Fontanelli