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Pasolini e l'attualità di una figura scomoda ma presente

Era il 2 novembre del 1975 quando, esattamente quarant’anni fa, ci lasciava uno dei maggiori artisti e intellettuali del ventesimo secolo, Pier Paolo Pasolini.

Quella mattina, il corpo maciullato di P.P.P fu ritrovato all’Idroscalo di Ostia, su uno sterrato impastato di fango e sangue. Oggi in quel luogo sorge un parco ben curato, impreziosito da un monumento pieno di citazioni incise sul marmo e dedicato allo scrittore. Se avesse potuto osservare il via vai di persone che quel giorno, subito dopo che la polizia portò via il cadavere, accorsero sul luogo del delitto quasi fossero in processione, lasciate libere di sostare come fosse una mostra, forse si domanderebbe a che scopo oggi tener quel monumento decorativo. Probabilmente quel suo volto dai lineamenti delicati e al contempo “mascolini”, “forti”, “femminei” come lo definì la Fallaci, tramuterebbe in rabbia per l’ipocrisia che da sempre si cela sul volto di certi tali che, tuttora, ostinatamente ne deturpano l’immagine, violentandone il nome.

Pasolini era così. Egli criticava ogni forma di pseudo-borghesia capitalista e ipocrita, rappresentativa di quella società, da lui stesso formata, al preludio del consumismo e del capitalismo più sfrenato. Ignorato, odiato e amato al tempo stesso, emarginato e oggi apprezzato, i suoi scritti e i suoi moniti continuano a “suonarci minacciosi”, quasi già allora avesse intuito tutto e noi dovessimo ancora arrivarci. Censurato politicamente ed eticamente, “l’animale senza nome”, così si definiva, assiduamente continua a far parlare di se.

E se oggi potesse leggere, osservare, sentire e ascoltare. Se oggi potesse vedere l’Italia, direbbe le stesse cose che disse in “lettere luterane” o nella “divina memesis” o anche in “scritti corsari”. L’Italia è uguale a dieci, venti o quarant’anni anni fa. Sono cambiati solo i costumi, le periferie di poveracci, gli immigrati schiavizzati e il medio borghese che cerca di assomigliare in tutto e per tutto al ricco, rendendosi ridicolo e pieno di debiti. Essi ci sono ancora, dopotutto come i politici. Quei politici mediocri di allora sono rimasti degli idioti e la DC ha cambiato solo il nome. Ma in fondo, è tutto uguale. Alla gente non importa, o fa finta di importare. Ai giovani non è rimasto più nulla da combattere. Essi sono solo lontani parenti di quelli che P.P.P descriveva ne “La meglio gioventù”. Ora, lo scandalo avviene per la chiusura di una discoteca, non se viene loro negato il diritto al futuro, quello che non hanno, pur avendo tutto. Le mobilitazioni? Esse si conducono sui nuovi mezzi di comunicazione, denominati “social”, che tutto sono meno che sociali. Pier Paolo criticava il medium di massa, la società dei consumi e dell’apparenza, criticava il servilismo al potere, le trattative e le stragi di mafia. Ma alla fine hanno vinto loro. E lui hai perso e oggi come allora non ne esce vincitore. 

Ve lo immaginereste nelle televisioni con Bruno Vespa a parlare di Mafia? O in qualche talk show a discutere di Mafia Capitale, appalti truccati, Mose, Expo e chi più ne ha ne metta? Ve lo immaginereste mentre assiste inerme alla desolante strumentalizzazione mediatica che avviene oggi, legittimata dai più variegati diritti, in quel proliferare di sessualità e teatrini da quattro soldi? Proprio lui, che criticava la sessualità ridotta a obbligo, folklore e consumo. Lui che, come ricorda Marcello Veneziani, “ha scritto pagine contro l’aborto, la pornografia, la droga e per la sacralità della vita, contro le manipolazioni genetiche e la società permissiva, contro la riduzione gay dell’omosessualità e la sua pretesa a parificarsi al matrimonio, fino a imborghesirsi e burocratizzarsi attraverso le unioni civili in modo quasi irreale”.

L’irreale di una realtà talmente avida di emozioni, vuota e profana di valori, dall’essere giunta a risultare tanto permissiva dal non sembrare più democratica, bensì fittizia, simulata. Pasolini obiettava a tutto questo. Lui, corruttore di giovani, omosessuale, incompreso e mai del tutto inattuale, lascia intravedere tuttora con le sue critiche diverse sfaccettature di una personalità scomoda ma vera. Comodo a sinistra e scomodo a destra, ma verosimilmente altrettanto scomodo a sinistra e comodo a destra, egli criticava l’immoralità di un sistema sempre più cinico e contraffatto, forzatamente corrotto e corruttore. Un sistema che, alla fine dei giochi, ha finito per portarcelo via, lasciandone solo un’immagine scomoda eppure presente.

di Giuseppe Papalia
 

Riguardo l'autore

giuseppepapalia

Classe 1993. Giornalista pubblicista, consulente di comunicazione per i deputati al Parlamento europeo, corrispondente da Bruxelles. Una laurea in scienze della comunicazione e una magistrale in giornalismo con indirizzo “relazioni pubbliche” all'Università degli studi di Verona. Ha collaborato con alcuni giornali locali, riviste di settore e per alcune emittenti televisive dalle istituzioni europee a Bruxelles e Strasburgo. Con TotalEU Production dal 2019, ho collaborato in qualità di social media manager e consulente di comunicazione politica.

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