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Attualità Cultura Politica Un bergamasco in Rendena

La destra siamo noi, non abbiam bisogno di maestrini

Francamente, non so cosa significhi provare un afflato per il fascismo: afflato, in senso sia figurato che concreto significa, a un dipresso, soffio, alito. Al massimo, ispirazione. Forse, Giorgia Meloni voleva dire di non aver mai avuto particolare propensione, ammirazione, empatia, col fascismo.

Il che può benissimo essere: siamo da quasi ottant’anni in democrazia e provare empatia col fascismo suona, come minimo, un tantino fuori tempo massimo. Fatto si è che, ad un certo punto della loro carriera, i leader della destra italiana sentono sempre la necessità di chiarire, in modo più o meno morfosintatticamente accettabile, la loro estraneità al fascismo. Rammento Fini, Alemanno e, oggi, la Meloni. Tutte scuse non richieste, ma, quanto meno, determinate dalla volontà di sottrarsi alle accuse di nostalgismo, quando non di apologia, che, ogni tre per due, i più sbrindellati parlamentari della sinistra muovono agli eredi del MSI.

Che sono accuse fastidiose, petulanti, e che, spesso, arrivano da gente mille volte più antidemocratica e faziosa del più fascista dei fascisti. Ma questa necessità di sottrarsi alle accuse, proclamandosi tutt’altro che ammiratori del fascismo e di tutte le sue, vere o presunte, filiazioni, mi pare un’operazione inutile. Quando non controproducente.

Inutile, perché se davvero nulla ti frega del fascismo, non deve fregartene neppure di chi ti accusi, del tutto a vanvera, di essere fascista.

Controproducente, per diverse ragioni. La prima è che, quandanche uno proclamasse coram populo che Mussolini era un gran fesso, Almirante un babbione e l’intero ventennio, con gli addentellati post-bellici, l’estremismo di destra e così via, una catastrofe politica e morale, la sinistra continuerebbe a menargliela, come se nulla fosse. Perché, più che l’ur-fascismo, in Italia c’è l’ur-guerra civile: senza la quale, gran parte della sinistra non saprebbe di che parlare.

La seconda è che, come si dice in tribunale, excusatio non petita accusatio manifesta: chi te l’ha chiesto, insomma. La terza è che una larga fetta dell’elettorato di destra non è fascista, ma non ama che si sputi sulle proprie radici: e, siccome le radici dell’MSI, da cui discesero AN e FDI, sia pur perdendo croste ideologiche ad ogni giro, erano certamente radici fasciste, quest’abiuretta non l’ha punto digerita.

Non per una questione di nostalgia per il Duce, lo ripeto, ma per una questione, diciamo così, di stile. Io avrei glissato: avrei considerato gli apoftegmi dei compagni alla stregua di aria fritta e le loro interpellanze, come diceva il poeta, cacata charta. Mica per altro: per non dargliela vinta a questi mammalucchi che, da sempre, pretendono di insegnarci cosa sia la destra e come si debba comportare.

La destra siamo noi e non abbiamo bisogno di nessun maestrino che ci indichi la retta via: la retta via la troviamo da soli, grazie. Ma, prima o poi, il dai e dai pervicace della sinistra scava la pietra: a forza di grida di sdegno e di campagne mediatiche, anche i nervi più saldi vagellano.

Onestamente, speravo che i tempi fossero maturi per farci una risata su e lasciare le vestali dell’antifascismo a cuocere nel loro amaro brodo: invece, la Meloni ha dimostrato che dobbiamo farne ancora di strada.

Bastava considerare le geremiadi sinistresi per quello che sono: un afflato. E, per di più, pestilenziale.

Marco Cimmino