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Quirinale, Draghi vuole dettare tempi e modi. Sopravvivrà ai franchi tiratori?

Il primo scrutinio della campagna del Quirinale, l’elezione del Presidente della Repubblica, è andato nullo. Ben 672 le schede bianche, esattamente quante richieste per avere la maggioranza dei due terzi nello scrutinio di ieri, soglia che oggi sale a 673 in quanto sta per essere proclamata eletta una nuova deputata di Forza Italia, Rossella Sessa, in sostituzione di Enzo Fasano, deceduto il 23 gennaio.

La giornata di ieri ha visto però un giro di contatti molto intenso: se è naturale che i partiti inizino a trattare tra loro una tregua sul nome del Quirinale, per sbloccare un’impasse che rischia di diventare una catastrofe per tutti i grandi segretari di partito, è meno consueto vedere un forte interessamento del Presidente del Consiglio.

Mario Draghi, infatti, ha tenuto incontri – di persona o al telefono – con tutti i leader dei partiti che costituiscono la sua maggioranza di governo, con esiti diversi tra loro: positivo l’incontro con Renzi, neutro quello con Letta, negativi quelli con Conte e Salvini. Un’analisi superficiale di questi esiti farebbe immediatamente pensare a un sostanziale “no” alla candidatura di Draghi al Quirinale. Ma la riflessione da fare è più profonda.

Procedendo con ordine, è opportuno guardare i numeri: se tutti i partiti e i gruppi che lo sostengono a Palazzo Chigi lo votassero anche per il Quirinale, Draghi avrebbe a disposizione 857 voti, un margine più che ampio per essere eletto tra gli applausi scroscianti di tutto il Parlamento, esclusi FdI e i dissidenti grillini. La situazione però si complica andando a leggere le uscite di alcuni capi politici: Berlusconi, nel comunicare il suo ritiro, aveva già auspicato una permanenza di Draghi alla Presidenza del Consiglio, per cui immaginando che FI compattamente non voglia “promuoverlo” al Quirinale da 857 si scende a 722. Perplessi anche molti del PD e del Movimento, anche se in misura minoritaria. 722 però vuol dire che bastano 50 franchi tiratori per affossare la candidatura di Draghi.

Una mancata elezione dell’attuale Premier, però, vorrebbe dire di fatto una “sfiducia” allo stesso Governo dei migliori, visto in primis che Draghi aveva dato (almeno verbalmente) la sua disponibilità a candidarsi, in secondo luogo perché l’intesa su un nome condiviso per non ripetere la tragica esperienza del 2013 è ben lontana dal trovarsi.

Ecco allora il perché di queste telefonate così intense: Draghi sta sostanzialmente svolgendo le consultazioni. Lo scenario attuale, infatti, vede Draghi come nome in pole position per salvare la faccia tra i partiti della maggioranza e tutto sommato “accontentare” l’opposizione che chiede elezioni anticipate ormai da un anno intero. Il nodo, però, è sempre uno: se Draghi va al Quirinale, chi va a Chigi?

Forse in questo senso vanno letti gli esiti “positivi” o “negativi” degli incontri di ieri, con Draghi che starà sottoponendo delle proposte di squadra di governo che dovrebbe sostituirlo e i partiti che (ovviamente) vogliono aumentare il loro peso. In questa partita, si è inserito persino Giovanni Toti che ieri ha fatto capire, intervenendo al TG1, che in un nuovo organico di Governo Coraggio Italia vuole qualche incarico visto il pacchetto da 30 parlamentari che porta in dote. Qualora si arrivi a un’intesa su tutto il Governo, a quel punto Draghi sarebbe libero di traslocare al Quirinale, dando quella continuità tanto richiesta dal mondo finanziario.

Una logica ferrea e ineccepibile, che però cozza terribilmente con il “garbo istituzionale”: mai si era visto un Presidente del Consiglio tenere delle consultazioni private prima ancora di passare dal Presidente della Repubblica, disquisendo su chi dovesse essere incaricato al suo posto ben sapendo che l’incarico lo si può dare solo dopo essere stati eletti al Quirinale. Inoltre, il Governo si sta stancamente trascinando verso l’esito di queste elezioni quirinalizie, nella speranza nemmeno troppo recondita di finire presto l’incarico e lasciare il sistema partitocratico libero di avviare quello che sarà un lungo anno di campagna elettorale fino alle nuove elezioni, che realisticamente si terranno nel 2023.

Lo scenario, comunque, vede al momento Mario Draghi saldamente in testa nelle quotazioni, in attesa solo di sciogliere il nodo della Presidenza del Consiglio (nomi emersi sotto questo punto di vista sono Elisabetta Belloni e Marta Cartabia, ma anche Roberto D’Alimonte qualora sia un “governo di scopo” per scrivere una nuova legge elettorale, oppure un nome di altissimo profilo tecnico come Giancarlo Coraggio). Resta da capire se può sopravvivere ai franchi tiratori: qualora non ce la facesse, il caos istituzionale sarebbe totale.

Rinaldo De Santis