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Quirinale, la guerra delle due rose (di cui una “inesistente”)

Per la partita del Quirinale, ovvero l’elezione del Presidente della Repubblica, ogni giorno riserva sorprese e cambiamenti. La giornata di ieri ha visto come step evolutivo una sostanziale guerra delle due rose, per rifarsi alla storia britannica e al conflitto tra Lancaster e York.

Entrambi gli schieramenti, infatti, avevano annunciato di presentare in giornata una rosa di nomi da sottoporre agli avversari, per vedere se ci fosse qualcuno su cui trovare un’intesa. Il Centrodestra ha giocato d’anticipo e ha subito presentato i suoi tre nomi: Letizia Moratti, Carlo Nordio e Marcello Pera. Volti noti e che sono, ciascuno a modo suo, dei simboli della storia della destra italiana e nei fatti nessuno dei tre ha una tessera di partito (per quanto la Moratti sia dichiaratamente in quota Forza Italia e ricopra tuttora l’incarico di Assessore al Welfare in Regione Lombardia).

Nel primo pomeriggio erano anche filtrati un paio di nomi della presunta rosa del Centrosinistra, ovvero Andrea Riccardi e Anna Finocchiaro, ma all’uscita dei tre nomi proposti dal Centrodestra la compilazione della rosa è terminata. Il centrosinistra si è limitato a commentare positivamente il trio Moratti-Nordio-Pera per poi bocciare quelle proposte e chiedere, per bocca del Segretario del PD Enrico Letta, di ritrovarsi oggi in una sede “con porta chiusa a chiave a pane e acqua finché non troviamo un nome“.

Nei fatti, questo significa che il Centrosinistra una rosa ce l’ha, ma non vuole commettere lo stesso errore di esporre a una bocciatura i suoi nomi come ha fatto il Centrodestra. Centrodestra che però ha furbescamente presentato i “sacrificabili” per provare a giocarsi il tutto per tutto al quarto scrutinio, ormai ipotesi più che remota qualora non si trovi l’accordo politico per il sostegno a Mario Draghi nella giornata di oggi.

Chi finora non ha scoperto mezza carta è il Movimento 5 Stelle, con Giuseppe Conte impegnato a dire a Salvini che un’intesa è possibile, a rassicurare Letta sulla compattezza del campo progressista (ammesso che questo esista), ad attaccare nemmeno troppo velatamente Draghi, troppo impegnato a suo dire nella sfida quirinalizia e troppo poco attento alle questioni di Governo.

Analizzando il comportamento del leader pentastellato, non si può che approvare come stia conducendo la sfida: tranne Draghi, nessuno poteva aspirare all’elezione nei primi tre scrutini, dal quarto quegli oltre 200 voti del M5S diventano un ghiotto bottino. Attenzione però a non confondere la bravura nel “gioco” con le effettive chance di vittoria. Il Movimento è spaccatissimo e ne sono testimonianza le trattative private avanzate da Riccardo Fraccaro o le riunioni dei fedelissimi di Luigi Di Maio, che con un pacchetto di 40-50 parlamentari e delegati regionali può veramente influenzare ogni esito in una partita voto su voto.

Dalla riunione “a pane e acqua” di oggi potrebbe sia emergere il nome condiviso che tutti auspicano, da portare al quarto scrutinio per evitargli l’onta dei franchi tiratori, sia scaturire la decisione di andare allo scontro finale, portando due candidati da far votare ad almeno 505 colleghi. Nel primo caso, probabilmente la trattativa sarà più sul nome e sulla composizione di un “Governo-Draghi-senza-Draghi” che non sul Presidente della Repubblica; nel secondo caso, la mossa di Maria Elisabetta Alberti Casellati darebbe al Centrodestra il match point.

Non tanto perché sia gradita ai più, anzi: piuttosto perché libererebbe il posto da Presidente del Senato, ruolo che – con un accordo sul Quirinale – potrebbe ricoprire Matteo Renzi: il Centrodestra insieme a Italia Viva, infatti, ha i numeri per poter assegnare un simile incarico all’ex-Premier, che sarebbe ben contento di far eleggere a Presidente della Repubblica una persona di certo non gradita a Letta.

Ma il Centrodestra insieme a Renzi è a -7 dalla maggioranza e il rischio che qualcuno non troppo amico di Renzi (vedere Meloni) possa fare da franco tiratore è altissimo. A quel punto, il Centrosinistra potrebbe ribaltare la situazione piazzando un nome condiviso coi 5 Stelle quando non proprio appartenente all’area culturale grillina, capace di riunire anche i fuoriusciti e i componenti di Alternativa.

Come nella guerra delle due rose, dove alla fine dello scontro vinsero i Lancaster (la rosa rossa) portando al potere i Tudor, una casa che con loro si era alleata e intrecciata dal punto di vista genealogico. Chissà che non finisca così anche questa “guerra”.

Rinaldo De Santis